mercoledì 6 aprile 2016
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Chi espatria per aggirare il divieto penale di maternità surrogata non commette reato: l’ha scritto la Cassazione in una sentenza divulgata ieri. Ma la stessa Corte, pronunciandosi nel novembre del 2014 sull’efficacia in Italia del certificato di nascita così ottenuto all’estero, aveva deciso in senso contrario, destituendo l’atto di ogni valore e dichiarando il bimbo in stato d’abbandono. Così, ora, il quadro giuridico sull’utero in affitto diventa ancora più contorto. La sentenza depositata ieri, di cui per ora si ha notizia solo attraverso fonti giornalistiche, conclude il giudizio promosso dalla Procura di Napoli contro l’assoluzione – pronunciata nel 2015 dal Giudice per le indagini preliminari – di una coppia che era volata in Ucraina per “assemblare” un bimbo (con il seme di lui, gli ovociti di un’altra donna e il ventre di un’altra ancora). Dalle prime informazioni sembra che la difesa dei coniugi avesse chiesto la loro assoluzione sulla scorta della sentenza 162/2014 della Corte costituzionale, il via libera alla fecondazione eterologa. In verità quella pronuncia ribadisce il divieto di maternità surrogata. La Cassazione sembra saperlo, e spiega che bisogna sì prosciogliere, ma non sulla scorta di quella pronuncia. Piuttosto, a motivo del fatto che la legge italiana non è chiara circa la punibilità dei reati compiuti dai cittadini all’estero. Soprattutto quando la loro condotta, secondo la legge d’oltreconfine, risulta assolutamente lecita (come lo è la surrogazione in Ucraina). Gli ermellini confermano poi l’assoluzione dal reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale (secondo l’accusa commesso dalla coppia nel momento in cui gli ufficiali consolari di Kiev hanno chiesto loro se il bimbo fosse nato da un utero in affitto, con i due che hanno taciuto). Per la Cassazione il silenzio non è falsità. Quanto invece all’alterazione di stato civile di minore, la Suprema Corte ha escluso questo reato poiché l’atto è stato redatto in conformità alla legge del luogo. Secondo l’accusa, invece, il nome della moglie – estranea al parto – accanto alla dicitura «madre» costituiva un’informazione non veritiera. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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