venerdì 11 maggio 2018
Di Maio e Salvini devono riuscire a trovare un punto d'intesa, a questo punto è passato troppo tempo per poter dire: «Abbiamo scherzato»
Tornare indietro è molto difficile, ma crescono i nodi su temi e poltrone
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Per Di Maio e Salvini è difficile tornare indietro rispetto alla prospettiva di fare un governo insieme. Troppe le aspettative create, troppe le «convergenze programmatiche» ottimisticamente comunicate al Paese, troppe le settimane passate dal voto del 4 marzo per dire a favore di telecamera «abbiamo scherzato». Tuttavia sia il tavolo sui contenuti sia il tavolo su premier e ministri stanno rivelando nodi e fragilità che forse all’inizio del negoziato sono stati sottostimati.

La più grossa delle contraddizioni sembra essere emersa ieri. Sino a mercoledì si dava quasi per scontata la scelta di un premier terzo. Nella giornata di venerdì ci si è resi conto della debolezza di tale ipotesi. Si tratterebbe di individuare, alla fine dei negoziati, una personalità di «alto profilo» che accetti una lista dei ministri scritta da Di Maio e Salvini e un’agenda programmatica a dir poco "ricca" indicata dai gruppi parlamentari di M5s e Lega. Pochi, pochissime personalità "garanti" darebbero la disponibilità in uno scenario del genere in cui entrerebbero in gioco come tassello residuale e con poca autonomia. E infatti l’ipotesi sembra volgere al tramonto.

Ma tornare alla via del "premier politico" non è facile, perché si tratta di rientrare nel terreno scivoloso delle ambizioni personali e dei veti incrociati, come mostra la dura polemica tra Di Maio e Meloni. Non è sufficiente che tutti diano a parole la disponibilità a fare un «passo indietro». Serve anche che a qualcuno venga concesso di fare un passo avanti. Anche sul terreno programmatico c’è qualcosa che non quadra. Il lavoro fatto sinora dai tecnici e dai politici è un’addizione dei punti più ambiziosi dell’agenda M5s e Lega. Nessuna vera scelta, sintesi, cernita. E quando si tratta di comunicare all’esterno l’esito degli incontri, emergono due umori completamente diversi. I 5s loquaci, ottimisti e rassicuranti circa gli impegni con l’Europa. I leghisti silenziosi, criptici, prudenti. E Salvini, in particolare, sulla difensiva, a promuovere i punti più "duri" del suo programma, in primis la piattaforma "sovranista" in Ue e la mano pesante sui migranti.

C’è infine un terzo elemento poco chiaro, ovvero il peso dei referenti "esterni" di Salvini e Di Maio. Il leader della Lega riferirà a Berlusconi - teoricamente fuori dalla partita - gli esiti della trattativa. Il capo 5s ieri sera ha aggiornato Casaleggio jr e Grillo. Ci sono ancora aspetti che vanno oltre la dialettica politica tra due forze parlamentari e due leader che vogliono fare un governo su punti specifici. Immaginare clamorosi passi indietro sarebbe imprudente, perché il peso di una legislatura brevissima a quel punto ricadrebbe interamente su Salvini e Di Maio. Ma la pratica non è facile come era stata presentata. E in caso di fallimento i due leader non potrebbero nemmeno gridare «torniamo al voto». Da lunedì, infatti, ripartirebbe il tentativo «neutrale» del Colle e a seguire la finestra delle urne a luglio si potrebbe considerare archiviata.

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