mercoledì 23 maggio 2018
«L’appellativo deve corrispondere al sesso». La procura chiede una modifica, poi “cede”
«La bimba si chiama Blu»: nome contestato
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Si chiama Blu. E così continuerà a chiamarsi: la Procura di Milano ha rinunciato a chiedere la rettifica del nome scelto dai genitori per la loro bimba nata cinque mesi fa. Anche se quel nome – Blu – è in contrasto con la legge dello Stato, il Dpr 369/2000 che all’articolo 35 prevede che «il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso».

In virtù di questa regola almeno due coppie di genitori sono state convocate dalla Procura della Repubblica per rettificare l’atto di nascita, anteponendo «altro nome onomastico femminile che potrà essere indicato dai genitori nel corso del giudizio». Ieri, però, il pm Luisa Baima Bollone ha rinunciato al ricorso e il giudice Maria Rita Cordova ha convalidato il nome. La decisione è stata presa al termine di un’udienza durata pochi minuti alla quale erano presenti i genitori Libaan Bosir Sek Mohamed, un ingegnere veronese di 36 anni, di origini somale, e Rosamaria Castiglione Angelucci, trentottenne, esperta di relazioni pubbliche.

A poche settimane dalla nascita della bimba, l’anagrafe di Milano ha convocato la coppia, segnalando che il nome della piccola non era «sufficientemente identificativo del genere femminile». Si rendeva necessario – per rispettare la legge – aggiungerne un secondo, inconfondibile. I genitori furono disponibili, e suggerirono Shamsa: ma anche questo nome arabo, secondo gli ufficiali dell’anagrafe, è troppo poco diffuso in Italia e non permetterebbe di capire immediatamente che chi lo porta è una bambina.

A quel punto la prassi vuole che una segnalazione sia inviata al Tribunale con successivo intervento – anch’esso voluto dalla legge, trattandosi di un caso che coinvolge un minore – della Procura. Stesso iter – e probabilmente stessa conclusione della vicenda – anche per un altra coppia che dovrà presentarsi giovedì davanti al pubblico ministero, al Palazzo di Giustizia di Milano: la loro bambina ha un anno e mezzo e anche lei si chiama Blu.

«Quando ci siamo presentati all’anagrafe per la registrazione – racconta il padre, Luca – i funzionari ci hanno messo in guardia, avvisandoci della possibilità che venissimo convocati per la rettifica. Rischia di essere il giudice a decidere quale nome dovrà portare nostra figlia se non ne indicheremo uno noi». Visto il precedente odierno, però, è difficile che succeda. Sembra ci siano altri casi aperti oltre a questi due: del resto, il “conta nome” dell’Istat segnala in crescita il numero delle bambine che si chiamano Blu (ma esiste anche qualche maschietto).

E a Milano sono state già registrate due Verde, femmine. Secondo la legge, è interesse pubblico che il nome, insieme al cognome, contribuisca a identificare immediatamente ciascuno all’interno dei rapporti sociali, a scuola per esempio, o nel lavoro, senza equivoci o confusioni. Non solo: la legge italiana vieta i nomi imbarazzanti, tutela il cittadino neonato da inconvenienti che possano pesare come macigni sulla sua vita.

Ha fatto scuola il caso segnalato al tribunale da un funzionario del Comune di Genova nel 2006: una coppia chiedeva di chiamare il figlio Venerdì. Il caso arrivò fino alla Corte d’Appello che considerò quel nome inaccettabile, «dal carattere ridicolo – si leggeva nella sentenza – che ben si presta all’ironia e allo scherno, in grado di arrecare grave danno alla persona che lo porta». I giudici motivarono anche la decisione spiegando che non solo Venerdì è il nome dello schiavo ignorante e selvaggio arruolato come servitore da Robinson Crusoe ma per i fedeli il giorno della penitenza, dedicato al digiuno, e per i superstiziosi evoca la sfortuna. Non proprio il nome migliore da portarsi appresso tutta la vita.

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