mercoledì 24 aprile 2019
Lo stop leghista alla misura per la capitale. L’ira dei Cinquestelle: fu il centrodestra a commissariare il passivo, che oggi vale 12 miliardi
Il maxi debito della Capitale, ecco cos'è il Salva-Roma
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In bilico fino alla fine, il 'Salva Roma' è diventato l’ultimo casus belli all’interno della maggioranza. Forse più importante come merce di scambio politico che per il suo reale valore. La norma parzialmente stralciata durante la notte riguarda il debito storico della Capitale, ovvero i deficit accumulati fino al 2008 e da allora inserito in una gestione commissariale dal governo di centrodestra con Gianni Alemanno (all’epoca di An) sindaco.

Di che si tratta. La gestione commissariale dipende dal Mef e amministra al momento un debito di circa 12 miliardi di euro. A comporre questo passivo-monstre, accumulato nel corso dei decenni, c’è un mix di mutui, interessi e debiti commerciali. Da allora di questi debiti si fa carico con 300 milioni l’anno il ministero dell’Economia (dunque con i soldi di tutti gli italiani) e con 200 milioni il Comune di Roma grazie a una super-addizionale Irpef (la più alta d’Italia) e una maggiorazione sulle tasse aeroportuali capitoline. Risorse che tuttavia secondo le previsioni non basterebbero a evitare una crisi liquidità della struttura commissariale dal 2022 in poi, con nuovi rischi anche per il bilancio di Roma. Da qui il tentativo di mettere in sicurezza il piano di rientro predisposto fino al 2048.

La soluzione bloccata. L’operazione, inserita inizialmente nel Dl Crescita, consiste nella chiusura della gestione commissariale nel 2021, quando la gestione dei debiti commerciali (circa 3 miliardi) passerebbe al Comune e quelli con le banche (9 miliardi) al Tesoro. L’obiettivo è rinegoziare i mutui sottoscritti a suo tempo (quando gli interessi erano molto più alti di oggi) riducendo la spesa. Risparmi grazie ai quali il Campidoglio stima di ricavare 2,5 miliardi fino al 2048, circa 100 milioni di euro l’anno, con cui diminuire l’addizionale Irpef. Il provvedimento quindi, stando ai 5 stelle, non introdurrebbe nuovi oneri per l’erario. Ma probabilmente la ripartizione dei risparmi andrebbe più a beneficio del Comune di Roma che del resto d’Italia. Da qui lo stop della Lega, secondo la quale se si aiuta la Capitale vanno aiutati anche gli altri Comuni. In Italia in effetti sono molti gli enti locali con i conti in disordine. Ma solo Roma ha una gestione commissariale del debito partecipata dalla Stato. E se l’intervento tampone in questo caso sarebbe (forse) a costo zero, un intervento generalizzato per le centinaia di municipi in rosso sarebbe sicuramente costoso per le casse pubbliche.

La polemica. L’affondo di Salvini rischia dunque di mettere in difficoltà il ministro Tria, che sin qui non ha eccepito sulla misura pro-Roma. Intanto ha allargato il solco con il resto del centrodestra: Fdi, ma anche Forza Italia, sono favorevoli alla misura. Il M5s sottolinea invece che il provvedimento «dovrebbe chiamarsi 'tagliabanche' » perché riduce gli interessi, mentre il 'salva-Roma' «lo fece il governo Lega-Berlusconi del 2008 quando il giovane deputato Matteo Salvini votò a favore». Quanto al maxi debito «lo hanno fatto i sindaci prima di Virginia Raggi, da Veltroni ad Alemanno a Marino» accusano i 5s, dimenticando nella foga che Marino è stato sindaco dopo il commissariamento del debito.

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