mercoledì 11 settembre 2013
​Alla ripresa dell'anno scolastico, parlano gli insegnanti che non si arrendono. "Così si riaccende il desiderio di imparare". Raccontare la scuola valorizzando il lavoro degli educatori, senza dimenticare i problemi ma cercando di raccontare il buono che ogni giorno accade nelle aule. PROTAGONISTI DELL'EDUCARE, SCRIVETE QUI
Il maestro come un padre, per trasmettere una visione di Marco Impagliazzo
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Come si torna a scuola? Col sorriso pieno di entusiasmo del primo giorno, troppo spesso destinato a far posto a un volto imbronciato nel giro di poco tempo, o col sospiro di chi si prepara a sopportare un peso sempre più insopportabile? E come si racconta la scuola sui media? Facendo l’elenco dei problemi ereditati dagli anni precedenti e destinati a mettere in moto il prevedibile rituale a base di proteste di piazza e scioperi, oppure raccontando l’avventura educativa che ogni giorno accade nelle aule? Nelle pagine caratterizzate dal logo «La scuola siamo noi», lanciate giusto un anno fa, abbiamo dato voce a quanti, anche in circostanze difficili, non si sono fermati al lamento, ma si sono rimboccati le maniche mettendo in campo iniziative e progetti con una valenza educativa. Mentre milioni di giovani tornano a scuola, diamo la parola ad alcuni insegnanti che testimoniano la possibilità di costruire e di riaccendere il desiderio nei cuori e nelle menti. Misurandosi anzitutto con domande troppo spesso eluse e che rimangono capitali: cosa vuol dire insegnare? Come accompagnare i giovani a conoscere la realtà e ad acquisire gli strumenti per diventare protagonisti della loro vita e della società? La parola ai protagonisti: inviateci i vostri contributi.Giorgio Paolucci

 

DA PALERMO"Proviamo a sognare la scuola che non c'è" Da Brancaccio allo Zen e di nuovo a Brancaccio, ho avuto l’opportunità di vedere la scuola da diverse angolazioni, come docente e come dirigente.Al di là delle riforme, delle prove Invalsi, dei registri informatici, al di là dei soldi che non ci sono e della carta igienica che manca, dei termosifoni che non funzionano o che nemmeno ci sono, come al “Danilo Dolci”, rimane l’interrogativo del perché esiste la scuola e quale sia il suo senso.La scuola esiste per gli alunni, per educarli nel significato etimologico della parola educazione: e-ducere significa letteralmente “condurre fuori”, quindi “liberare”. La scuola educa alla libertà.Oggi la scuola è chiamata ad operare interventi di pronto soccorso dinanzi alle continue emergenze sociali, a porre delle pezze e a rimediare alla “latitanza” di altri, perdendo di vista la sua missione originaria. La scuola è anche il luogo dove il giovane incontra per la prima volta lo Stato e che, in contesti sociali particolarmente segnati dal disagio, rappresenta, oltre alla Chiesa e alle associazioni di volontariato, l’unico spazio d’incontro e di aggregazione presente sul territorio.Le scuole disagiate si trovano in alcune città del Meridione, ma anche nel resto d’Italia, raccolgono i figli dei disoccupati, dei lavoratori in nero, dei carcerati, degli immigrati, i ragazzi non scolarizzati con una situazione di partenza disastrosa, soggetti all’educazione della strada.Dunque la scuola si pone come luogo privilegiato per la formazione della coscienza del cittadino, come ascensore sociale, luogo in cui, attraverso lo studio, è possibile riscattarsi, operando a livello preventivo sull’interiorizzazione dei valori.Un verso di Danilo Dolci molto bello dice: «Ciascuno cresce solo se sognato». Bisognerebbe sognare una scuola a misura d’alunno, dove i ragazzi vadano con serenità per imparare ad apprendere, e invece la scuola in questo momento non è sognata da nessuno ed è diventata un luogo in cui al dialogo si è sostituito il contenzioso.Con la stessa convinzione di cui sono capaci i bambini, dovremmo provare a cercare, sulle orme di Peter Pan, “La scuola che non c’è”.Domenico Di Fatta, dirigente scolastico del Liceo socio psicopedagogico “Danilo Dolci” di BrancaccioDA NAPOLI "Dopo 30 anni con gli studenti non vedo l'ora di ricominciare"Manca una settimana all’apertura dei cancelli dell’Istituto comprensivo “Sancia d’Angiò” di Trecase (un piccolo paese in provincia di Napoli), una scuola nella quale lavoro da circa 30 anni. Non sono certamente poche le problematiche di natura organizzativa e didattica che dovremo affrontare quest’anno, ma, forse più degli altri anni, non vedo l’ora di cominciare il lavoro con i miei alunni. Sono perfettamente consapevole che dovrò usare tutto il mio spirito combattivo e il mio entusiasmo per conquistare la loro fiducia e il loro cuore perché solo così nel corso degli anni sono riuscita a raggiungere uno degli obiettivi fondamentali del mio ruolo di educatrice: contribuire alla formazione dei protagonisti del futuro della nostra società sviluppando la consapevolezza dell’importanza del “sapere” e del “saper fare”. Aiutare ad un ragazzo a capire, a credere in sé, a sapersi relazionare con gli altri, a conoscere, a crescere e quanto di più bello ci sia. Per questo non cambierei questo lavoro per niente al mondo.Rosaria Rappucci, docente di Scienze matematiche dell’Ic “Sancia d’Angiò” di TrecaseDA MODENALa scuola? Si riconosce anche dal profumoSupponete di entrare in un grande edificio dove l’aria è pervasa dall’odore della cancelleria, dalle gomme alle mine, dalla carta dei quaderni alla plastica degli astucci fino alla tela degli zaini.Nella nostra scuola c’è qualcosa in più: ci sono gli odori che provengono dai laboratori. Essi infatti radunano ed armonizzano un misto di lubrificanti, metalli, solventi insomma un odore peculiare, istintivo, generazionale. Ogni scuola ne ha uno, se non identico, almeno simile e l’Ipsia “F. Corni” di Modena ha l’indimenticabile odore dei laboratori. Ma c’è anche l’incredibile profumo di alberi e fiori perché, ebbene sì, abbiamo anche un meraviglioso cortile, pieno di alberi e foglie da raccogliere per la gioia di alcuni. Ma i nostri studenti hanno provveduto anche a questo progettando un fantastico aspirafoglie di ultima generazione con alimentazione fotovoltaica. Un mito!Nella scuola ci vuole il coraggio di contaminarsi, lasciarsi sorprendere, abbandonare i pregiudizi e fidarsi solo di quello che si prova tutti i giorni entrando in aula. Si scopre pertanto nella sincerità di un anno scolastico, che se la prendi dal verso giusto la scuola è bella, nonostante tutto, e che la vita di classe è piena di paradossi e comicità.La scuola vive da tre millenni, sa pensare da sola; tocca a lei, del resto insegnare a pensare. Le oscillazioni e le contraddizioni della politica perciò non la spaventano.Con gli studenti ho parlato, discusso animatamente, urlato, buttato là battute. Queste battute sono state prontamente recepite e mi sono tornate indietro con risposte intelligenti ed acute. Fascino superiore. Ho avuto davanti ragazzi di sedici, diciassette e diciott’anni e credo che ci sia una gran speculazione mediatica su episodi che accadono nelle scuole. Penso che il gridare alla violenza tra gli adolescenti e provocare shock e scandalo sia tipico della cultura dilagante dei nostri giorni e si sia diffuso un sadico piacere nel diffondere notizie allucinanti piuttosto che racconti costruttivi di una normalità felice che si stenta a credere, ma esiste.Esiste una scuola positiva, di cui nessuno parla mai. Esistono ragazzi seri, impegnati, volenterosi e intelligenti. Nessuna pagina stampata di fresco la mattina celebra tutti quelli (docenti e discenti) che si alzano dal letto volentieri per varcare quella soglia emozionante e respirare quell’inconfondibile profumo di scuola.Flavia Capodicasa, docente Ipsia “F. Corni” di Modena

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