martedì 27 aprile 2021
Le riaperture di lunedì determineranno un’impennata delle infezioni e, secondo un report della Fondazione Kessler, anche dei decessi. Il dibattito tra gli esperti: ecco alcune previsioni
Vaccinazioni all'Hub vaccinale dell'Hangar Bicocca, a Milano

Vaccinazioni all'Hub vaccinale dell'Hangar Bicocca, a Milano - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Guardano avanti, in queste ore, statistici ed epidemiologi. Come è giusto fare col Covid, il cui scatto si misura nella distanza di 14 giorni: il tempo che intercorre tra il contagio, l’insorgere dei sintomi, la diagnosi e l’eventuale ospedalizzazione. Tutti hanno la stessa domanda, pochi hanno una risposta certa: cosa può succedere adesso?

Il malato che migliora

L’Italia da lunedì è pressoché gialla e le riaperture hanno inondato i luoghi pubblici di persone e relazioni: al netto di distanze e mascherine, il terreno fertile per il virus. Che non è sparito, anzi. Lo ha dimostrato pragmaticamente il caso della “candida” Sardegna, tornata in rosso nello spazio di tre settimane (e rossa ancora oggi). Lo ricordano drammaticamente le immagini che arrivano dall’India, così lontana eppure così vicina (i primi casi della variante importata, se davvero risulterà essere la variante responsabile del disastro in corso a Nuova Delhi e dintorni, sono stati già registrati in Veneto).

La buona notizia da cui partire è lo stato di salute attuale del Paese, fotografato dal Bollettino di ieri: l’Italia è un paziente in netto miglioramento (l’Rt registrato venerdì era allo 0,81), con poco più di 10mila casi su oltre 300mila tamponi processati (il tasso di positività è crollato al 3,4%) e gli attualmente positivi in calo di ben 4.663 unità (al momento i malati sono poco più di 448mila).
I numeri sono incoraggianti anche sul fronte dei ricoveri, in un trend discendente ormai da settimane: -101 posti occupati in terapia intensiva, -323 nei reparti ordinari. Che tuttavia non dice l’ultima parola sulla reale situazione degli ospedali, senz’altro meno sotto pressione rispetto a un mese fa, e tuttavia ancora “carichi” di pazienti Covid al limite delle soglie d’allerta: 30% i posti occupati in rianimazione (30% il limite fissato dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi regionali), 32% negli altri reparti (40% il limite, in questo caso). Come dire: un peggioramento della situazione, anche lieve, basterebbe a far scattare di nuovo l’emergenza sanitaria. Per non parlare della curva della mortalità, mai scesa davvero: altre 373 le vittime ieri, lunedì erano state 301. Un quadro, questo sì, sconfortante. Mitigato, tuttavia, dai numeri delle vaccinazioni: oltre 18 milioni gli italiani che hanno ricevuto la prima dose, il 21% della popolazione, di cui 5 milioni (8,8%) completamente immunizzati.

Un mese in salita

Si parte da qui, dunque. Da un equilibrio fragilissimo. Lo sanno anche gli esperti del Cts, sul cui tavolo – si è scoperto – poco prima del via libera al nuovo Dpcm è finito un report della Fondazione Bruno Kessler, da mesi impegnata a fianco del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità nelle analisi sulla curva epidemiologica. Le previsioni del documento sono fosche: se l’Rt cresce, come è certo che avvenga, oltre l’1, la mortalità rimarrebbe ferma a 300 decessi al giorno fino almeno alla metà di luglio. Significherebbe contare altre 24mila vittime. Se invece il tasso di replicazione del virus dovesse salire oltre l’1,1 si potrebbero raggiungere anche picchi di 600 o addirittura mille morti nelle 24 ore (e quel totale di 24mila potrebbe raddoppiare o addirittura triplicare).

«La certezza che abbiamo è che nel giro di dieci giorni la curva, al momento discendente, ricomincerà a salire»: il direttore dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari (Altems) dell’Università Cattolica, Americo Cicchetti, guarda all’immediato. L’Altems da mesi segue l’andamento della diffusione del Sars-CoV-2 a livello nazionale e lo illustra in rapporti settimanali: «Ci aspettiamo numeri importanti – continua –, tra i 20mila e i 30mila casi al giorno, e anche un deciso abbassamento dell’età media dei contagiati (al momento è di 43 anni, ndr)». È l’effetto delle vaccinazioni, nel frattempo arrivate a proteggere oltre l’85% degli over 80 con almeno una dose (il 60% con due) e la metà degli over 70. Abbastanza per aspettarsi «una sostanziale stabilità sul fronte delle ospedalizzazioni, specie sui ricoveri in terapia intensiva. E probabilmente anche sul fronte dei decessi». La teoria, insomma, è che alla forza centrifuga dei nuovi contagi si opponga – in misura crescente in base alla progressione della campagna vaccinale – quella centripeta dei vaccini. «E che da fine maggio in avanti ci si debba preparare a un numero sempre maggiore di positivi da gestire a casa, con sintomi più lievi» aggiunge Cicchetti. Uno scenario favorito anche dalla bella stagione e dal moltiplicarsi delle attività e delle relazioni all’aperto «dove il rischio di contagiarsi, lo hanno dimostrato studi scientifici, è di un caso su mille». Ma di teoria si tratta: misurare l’effetto reale dei vaccini sulla curva che sarà è operazione complicatissima, in cui rientrano anche i dati dell’efficacia dei diversi farmaci (quasi al 100% nel fermare i sintomi della malattia, ma tra l’80 e il 90% nel prevenire anche l’infezione).

Due anziane davanti a un cinema di Milano in occasione della riapertura

Due anziane davanti a un cinema di Milano in occasione della riapertura - Fotogramma

Il nodo degli over 70

«La verità è che siamo sul filo del rasoio» rimarca il virologo dell’Università Bicocca di Milano, Francesco Broccolo, «se avessimo avuto più tempo per raffreddare la curva probabilmente avremmo anche più certezze sugli effetti delle riaperture». Il riferimento è agli over 70 coperti dalle vaccinazioni, «ancora troppo pochi – ammette Broccolo –, soprattutto in alcune Regioni del Sud. Ecco perché ho la sensazione che assisteremo ad andamenti diversi delle curve su base territoriale: dove si è vaccinato di più, e sono stati messi al sicuro i più fragili, avremo meno ripercussioni quando i contagi tra una decina di giorni torneranno a crescere». Da questo punto di vista sarebbe importante aggiornare al più presto i parametri con cui la Cabina di regia ogni settimama valuta la mappa del rischio del Paese, «inserendo sia la quota delle fasce più a rischio immunizzate sia il numero dei guariti, cioè di chi ha già avuto il Covid». Un numero di persone che ha ormai toccato quota 3 milioni e mezzo e che, tra l’altro, «si concentra in alcune zone del Paese, in questo caso al Nord».

Proprio quella mappa, d’altronde, coi suoi colori «si è dimostrata nel tempo passibile di modifiche: abbiamo smesso di guardare soltanto all’Rt e preso in considerazione il tasso di incidenza, che ci ha permesso più tempestività negli interventi». L’inserimento dei nuovi parametri, è evidente, permetterebbe anche di evitare le – tanto scongiurate quanto prevedibili – eventuali nuove chiusure, consentendo alle attività delle aree meno sofferenti dal punto di vista sanitario (cioè con una quota stabile di ospedalizzati, ma comunque con un numero alto di contagi) di proseguire. Valutazioni di là da venire per ora, nonostante proprio il premier Mario Draghi avesse annunciato, ormai due settimane fa, l’aggiornamento dei parametri di valutazione da parte del ministero.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: