martedì 10 agosto 2021
Giovanni Scavazza, dopo vent'anni all'Università di Zurigo e una vita tra i pennelli, è tornato in Italia. Ma è stato sfrattato e cerca un locale per custodire temporaneamente «la sua vita su tela»
Quando lo sfratto colpisce il pittore e i suoi centosessanta quadri

Photo by Andres Perez on Unsplash

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Centosessanta quadri cercano casa. L’opera omnia di un anziano pittore rischia di andare dispersa perché il suo autore non è materialmente in grado di custodirli. E lancia un appello a istituzioni e privati perché qualcuno, almeno temporaneamente, accolga la sua "richiesta di asilo": «Magari qualche convento a Roma ha uno stanzone vuoto per le mie tele», dice Giovanni Scavazza, pittore figurativo, ex insegnante di Storia dell’Arte ed Educazione artistica all’Università Unitre di Zurigo.

Il maestro Giovanni eredita il suo talento artistico dal nonno Amilcare: «Fu abbandonato appena nato. Lo lasciarono - racconta l’artista - in una cassetta di legno per la frutta davanti alla chiesa di Copparo, in provincia di Ferrara. Di cognome fu registrato come Luni, lunedì in dialetto, perché è quando fu trovato». Amilcare cresce, dimostra doti artistiche che, quando si sposerà, trasmetterà ai suoi otto figli: «Una era mia madre, che l’ha passato a me».

Il giovane Giovanni fa il liceo artistico, poi l’Accademia delle belle arti, dove avrà come maestro di disegno Edolo Masci. Giovanni dipinge e fa mille lavori, senza mai perdersi d’animo, pur di non rinunciare alla sua passione. La vita lo porta a Zurigo, dove si fa apprezzare per il suo tratto e il suo talento per il figurativo. Suoi quadri vengono esposti al museo di arte contemporanea. E a Zurigo insegnerà per vent’anni all’Università Unitre. Grazie ai contributi previdenziali dell’ateneo ora ha una modesta pensione, che gli basta appena per vivere.

Nel 2012, da pensionato, torna in Italia e va a vivere a Sabaudia, cittadina sul mare in provincia di Latina, con la mamma invalida al cento per cento, Livia Luni, che assisterà per più di quattro anni. Quando Livia muore, la casa - di proprietà di due sorelle della madre - viene messa in vendita. E un’ingiunzione giudiziaria gli impone di andarsene entro il 20 agosto, lui e le sue 160 tele. «Non posso separarmene - dice - sono la mia vita. Ne ho regalate tante, ma non ho mai voluto venderne nessuna».

La sua magra pensione gli basta appena per sopravvivere. Giovanni si trasferisce in un paesino in provincia di Pescara, Tocco da Casauria, dove la sua ex moglie - con la quale è rimasto in buoni rapporti - gli ha suggerito di trasferirsi. «Dove altro avrei trovato una casa in affitto a 200 euro al mese?». I suoi tesori su tela, i suoi quadri anche di 4 metri, restano a Sabaudia, da dove dovranno essere sgomberate irrevocabilmente entro dieci giorni.

A Tocco da Casauria Giovanni non sta male: «Ho anche scoperto con emozione che a pochi chilometri da qui, a Castiglione a Casauria, visse il mio maestro dei tempi dell’Accademia, Edolo Masci, c’è un museo dedicato alla sua opera». Ma qui in Abruzzo non potrà fermarcisi a lungo. «Confesso che ho anche un po’ di paura, perché questa è una zona ad alto rischio sismico. Vorrei tornare vicino ai miei "tesori", magari a Roma - dice il pittore - per potermi riavvicinare anche a mio figlio, che gestiva un "service" audio-luci con cinque dipendenti, ma ha perso il lavoro per colpa della pandemia».

Impossibile per lui pagare l’affitto di un locale: «Proprio non ce la faccio con la mia pensione. Ho scritto una lettera anche alla sindaca Virginia Raggi. Lancio un appello ai conventi e alle parrocchie che magari hanno un ambiente inutilizzato. Basta che sia asciutto, una quarantina di metri quadri, ben chiuso. Io sono nullatenente, queste mie opere pittoriche rappresentano l’unica mia "impronta" che testimonia il mio transito su questo pianeta». La sua e-mail attende un segnale: gscavazza52@gmail.com













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