sabato 15 novembre 2014
Alta tensione sulla manovra. ​Dai ministeri arrivano cento richieste di modifica.
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​Ora il Ncd vede l'accordo sul Jobs Act. «Ci stiamo lavorando e ci sono tutte le condizioni per raggiungerlo», assicura Maurizio Sacconi dopo un incontro ieri con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. E in serata il leader del partito Angelino Alfano parla di intesa «in fase di conclusione» pur sottolineando che «l’articolo 18 deve andare via e il fannullone deve poter essere licenziato». L’intesa raggiunta giovedì all’interno del Pd, che prevede modifiche al testo varato dal Senato, non sembra più un ostacolo insormontabile per i centristi della maggioranza. Sul fronte lavoro insomma, malgrado la dura opposizione sociale di Cgil e Fiom e le perplessità restanti di una parte della sinistra Pd, le tensioni politiche si stanno stemperando. Mentre nel frattempo si rialza la temperatura sulla legge di Stabilità. Da Bruxelles filtra l’indiscrezione che la Commissione europea ha intenzione di chiedere all’Italia un’ulteriore correzione del deficit strutturale dopo quella da oltre 4 miliardi già concordata nelle scorse settimane. A Roma invece è scontro sui tagli alla spesa sanitaria tra le Regioni e il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, altro esponente Ncd. Per il ministro il fondo nazionale è intatto e non sono previste riduzioni. Di tutt’altro parere i rappresentanti regionali: Massimo Garavaglia (Lega), coordinatore degli assessori al Bilancio, ha accusato la Lorenzin di non essere informata sottolineando che nel testo «è scritto chiaramente che i tagli vanno anche sul Fondo sanitario nazionale». Insolitamente dure le parole usate anche dal presidente dei governatori, Sergio Chiamparino: così la manovra è «chiaramente insostenibile»: senza interventi sulla Sanità i 5,7 miliardi complessivi di riduzioni di spesa previsti si scaricano tutti sulle spese extra-sanitarie, ha osservato Chiamparino: si tratta del 12% del totale «quattro volte più della soglia del 3% prevista dalla spending review». Alla carica della legge di stabilità vanno anche i ministeri. Sono infatti oltre cento le richieste di modifica arrivate sul tavolo del ministro Maria Elena Boschi da parte dei dicasteri. Il dossier è ora all’esame di Palazzo Chigi ma solo una parte delle richieste sarà tradotta in emendamenti alla manovra.Per quanto riguarda il Jobs act  l’iter prosegue in Commissione Lavoro dove tra domani pomeriggio e giovedì si entrerà nel vivo con il voto sulle proposte di modifica. Il responsabile economico del Pd Filippo Taddei e il presidente della commissione nonché relatore del ddl, Cesare Damiano, esponente della minoranza del partito, hanno concordato di inserire nel testo gli emendamenti suggeriti dalla direzione del Pd di fine settembre. Mentre il Ncd preme perché l’impianto della riforma uscita dal Senato non venga annacquato. Al centro del confronto ci sono in particolare i licenziamenti disciplinari ingiustificati per i quali, in base all’accordo, il giudice potrà ancora disporre il reintegro del lavoratore. Sacconi preme perché siano «limitatissime» le tipologie di licenziamenti per i quali sia prevista la riammissione in azienda. Mentre Damiano ribatte che il testo concordato prevede «una qualificazione delle fattispecie» senza senza particolari limitazioni. Altro punto importante per la compattezza della maggioranza e del Pd riguarda le risorse per gli ammortizzatori sociali. Il vertice del partito si è impegnato con la minoranza ad aumentare nella legge di stabilità le risorse destinate all’allargamento degli ammortizzatori sociali. Ma cifre precise ancora non ce ne sono e le coperture sono da trovare. Dal fronte sindacale Fiom e Cgil vanno all’attacco dell’intesa raggiunta, considerata una mediazione al ribasso. «È una presa in giro che serve solo ai parlamentari per conservare il loro posto», è il duro commento di Maurizio Landini, segretario dei metalmeccanici, spalleggiato dal leader Cgil Susanna Camusso. Tra il Pd e il suo storico sindacato di riferimento si allarga così un solco che non sarà indolore per la sinistra del partito.
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