sabato 25 giugno 2016
​Choc, timori e ironia serpeggiano tra i 600mila italiani che hanno scelto di vivere nel Regno Unito.
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Gli italiani d'oltremanica: «Che ne sarà di noi?»
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​«Un vero choc... Ci eravamo addormentati tranquilli e ci siamo svegliati con questa notizia. Sono amareggiata. E anche il mio capo, un inglese, ha indossato una cravatta nera, in segno di lutto. Credo che andrò a pranzo coi colleghi dello studio, siamo tutti troppo tristi per consumare un pasto solitario...». Al telefono da Londra, l’architetto Laura Morgante racconta lo sconcerto per l’esito del referendum in Gran Bretagna. L’amarezza e l’incertezza rispetto al futuro sono gli stati d’animo prevalenti nella folta comunità italiana che, per motivi di lavoro o di studio, vive nel Regno Unito: ben 600mila, secondo le stime del Consolato italiano, fra l’Inghilterra e il Galles. Chi non ha i requisiti per chiedere la cittadinanza guarda al cambiamento con sospetto e timore: «Una mia amica italiana ha ricevuto immediatamente, di mattina, una mail dalla scuola della figlia, che chiedeva di sapere dove sia nata la bambina e quale sia la sua cittadinanza», racconta ancora Laura, che insieme al marito Andrea vive e lavora da quasi tre lustri a Londra. Hanno due figli adolescenti, Edoardo e Aurora, «ma neppure loro due hanno la cittadinanza inglese, chi nasce qui non l’acquista automaticamente. Chissà, forse dovremo richiedere una Visa, un permesso di soggiorno. Io sono avvilita, perché mi sento europea». Pure Ferdinando Laurenzi, 41enne di Oricola (Aq), parla di «uno choc, visti i polls della sera prima». Lui è in Uk da 12 anni e fa il dirigente di banca a Cambridge. «Mi sono informato. Dopo 5 anni, se dimostri di aver lavorato senza interruzioni con un reddito congruo e pagato le tasse corrispondenti, puoi chiedere la cittadinanza. Io penso di farlo, ma fra i miei colleghi c’è chi è qui solo da 2 o 3 anni ed è preoccupato di cosa accadrà». Antonio Mazzone, chef in un rinomato ristorante italiano, è dispiaciuto, ma cerca di non perdere lo humour che l’accompagna mentre prepara italiche delizie per il palato dei londinesi: «Ho pensato quello che abbiamo pensato un po’ tutti... Stai a vedere che ora ci mandano via e me ne vado ad aprire un chiosco di fronte a casa mia, sul mare, in Calabria?». E, mentre ai Consolati italiani di Londra ed Edimburgo arrivano 35 richieste di cittadinanza da altrettanti britannici indignati per la Brexit, fra i nostri "cervelli" oltremanica c’è preoccupazione. Anche Federico Varese, docente di criminologia nell’università britannica per eccellenza, Oxford, usa il termine «choc»: «I dipartimenti inglesi dipendono molto dai fondi di ricerca europei. Ora temiamo che ci vengano preclusi, in una fase in cui i fondi inglesi sono stati tagliati. E pure gli studenti europei rischiano di pagare tasse universitarie più alte». Un timore che ricorre nelle bacheche on line degli studenti Erasmus, frastornati dalla notizia: «Sono una extracomunitaria», scrive una dottoranda italiana del King’s College di Londra, mentre Olimpia Barletta si domanda «quali conseguenze avrà per noi la Brexit?». Il 63enne Giulio Cossu, professore di Medicina rigenerativa all’università di Manchester, ricorre all’ironia: «Per ora ci si ride sopra. Ancora non sono venuti a cercarci a casa, ma la prossima settimana vado in Italia e, al ritorno, vediamo se riesco a rientrare». Di fatto, spiega, «nessuno per ora sa quali ripercussioni avrà la situazione. A noi dell’ateneo di Manchester è arrivata una lettera della rettrice, che ci rassicurava. Ne ho ricevuta una pure dall’Academy of medical sciences, assicuravano ai membri stranieri che avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere perché nulla cambiasse». Ma «l’ambiente universitario non è indicativo del Paese. Qui gli scienziati erano tutti per rimanere in Europa». Ora, conclude il docente italiano, «sono tutti afflitti dall’ipotesi dell’uscita», ma «è inutile piangere sul latte versato».
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