giovedì 2 gennaio 2014
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Il meccanismo è complicato. La chiusura dei sei ospedali psichiatrici, infatti, non è legata solo all’attuazione da parte delle Regioni dei programmi di superamento delle strutture manicomiali. Il numero degli internati, perciò, pure a fronte di 1.016 dimissioni tra il 2010 e il 2012 e di altre 400 uscite nel 2013 rimane sempre in stallo. A confermarlo l’ultimo report della popolazione carceraria italiana del ministero della Giustizia (i dati sono aggiornati al 30 novembre), in cui gli internati risultano essere 1.185, di cui 161 stranieri. Anche analizzando statistiche più aggiornate il numero non cala sotto i 900. La popolazione negli opg, insomma, non tende a scendere e il perché va ricercato anche al di fuori dei piani regionali di chiusura: la legge, in sostanza, consente ancora gli ingressi. Tre articoli del codice penale (88, 89 e 222), difatti, prevedono sia la non imputabilità del malato mentale, sia il ricovero per chi ha un’infermità psichica. Anche se, va detto, numerose sentenze della Consulta vanno proprio nella direzione opposta, limitando l’internamento solo ai casi di elevata pericolosità sociale. E chiedendo d’incentivare le misure alternative come la libertà vigilata.Il dibattito sulla riforma del codice penale è aperto. Ma secondo alcuni addetti ai lavori, modificare gli articoli non servirà «da solo a consentire il diritto alla salute dei cittadini con malattie mentali» che commettono reati, «senza una regia a livello nazionale» che prenda a cuore il tema del superamento di questi luoghi «osceni e drammatici». Ne è convinto il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto: «S’illudono coloro che credono il problema si risolva soltanto riformando il codice nella parte su infermità e seminfermità». La semplice abolizione, spiega, «avrebbe un esito ancora più barbaro, perché queste persone verrebbero spedite n carcere». Bisogna invece fare in modo che ci siano «luoghi sul territorio che tutelino la loro salute mentale nella sicurezza dei cittadini». Ciò che manca, a detta sua, è sia una «linea di indirizzo politico» per il superamento degli opg, sia «una linea giudiziaria unitaria» che potrebbe portare alla revisione del codice. Il problema è innanzitutto culturale, secondo Maisto, perché si pensa ancora in troppi comparti che «la contenzione sia una terapia».E non aiuta neppure «il fatto gravissimo di un secondo rinvio per legge» della chiusura, aggiunge, così come alcuni «nodi irrisolti» nella legge Marino, ad esempio la doppia diagnosi o le assegnazioni tra le regioni degli internati stranieri. Solo una regia che organizzi a 360 gradi una «rete di strutture sul territorio, che svolgano una funzione vicaria per accoglierli», conclude, può consentire il superamento degli opg.
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