sabato 31 agosto 2013
La telefonata fatta all’“Esercito di Silvio” dopo un vertice con i suoi per sfogare tutto il malumore per la prospettiva politica che a breve vedrà la decisione sulla decadenza. In questo clima il Pdl legge la nomina dei quattro senatori a vita come il puntello alla possibilità di una nuova maggioranza​.
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nodi si accavallano e Silvio Berlusconi si riunisce a consulto con i suoi a Palazzo Grazioli. Al centro c’è la questione della possibile mannaia rappresentata dalla decadenza. Ma quella di ieri è la giornata in cui il Colle ha nominato quattro nuovi senatori. Gesto che molti pidiellini interpretano in chiave politica. Le quattro personalità, dicono, sono tutte orientate verso il centrosinistra e ostili a Berlusconi. Il quale avrebbe preso malissimo la decisione del capo dello Stato. Contro il quale, tra i suoi, avrebbe usato espressioni di fuoco: se pensa di mettermi a tacere così, non ha capito nulla. I quattro, infatti, sono visti come possibile puntello a un Letta-bis nell’aula di Palazzo Madama. Ipotesi contro la quale il Cavaliere minaccia «guerra». Preoccupazioni condivise dalla Lega che si unisce anche all’accusa - cavalcata anche da Fdi e 5 Stelle - che la quadruplice nomina rappresenti un segnale in controtendenza rispetto alla volontà di ridurre il numero dei parlamentari e i relativi costi.
Nel frattempo Enrico Letta ha fatto sapere che per lui le "larghe intese" rappresentano una condizione eccezionale, causata dal Porcellum. Quando termina il confronto, il Cavaliere prende il telefono e si collega con la sua base, l’Esercito di Silvio, il cui direttivo è riunito a Bassano del Grappa. È un fiume in piena. «Noi siamo responsabili e speriamo che questo governo possa andare avanti», dice. Poi subito l’affondo: «Sarebbe disdicevole se il governo cadesse, ma non siamo disponibili a mandare avanti un governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, leader del Pdl, impedendomi di continuare a fare politica». Insorge subito il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini: «Il ricatto di Berlusconi va respinto al mittente a stretto giro di posta: non violeremo mai le regole dello stato di diritto per allungare la durata del governo». Poi alza la voce anche il capogruppo del Pd alla Camera Speranza: «Delle provocazioni di Berlusconi non se ne può più».
Il Cavaliere continua sul doppio binario della fiducia nel senso di responsabilità del Pd («staremo a vedere se questo accadrà»). E dell’avvertimento sulle larghe intese, nate come possibilità di «pacificazione nazionale». Invece, «avete visto quello che è successo, siamo ancora in mezzo al guado». Insomma, mostra i muscoli e fa capire che lui resta in campo indipendentemente dalla scelte degli alleati-avversari.
Alla pacificazione nazionale, ne è convinto, avrebbe contribuito la sua nomina a senatore a vita. Non c’è stata e se ne dispiace Daniela Santanchè. Molti pidiellini non mancano di sottolineare alcune prese di posizione anti-Cav assunte in passato dai quattro neo-senatori. E vedono nella scelta la prefigurazione di un Letta-bis (è dello stesso parere anche il montiano, già pdl, Giuliano Cazzola). Con la memoria qualcuno torna al governo Prodi, sostenuto - invano - anche con il contributo di senatori a vita. Ma qualcuno pensa già al futuro. «Davvero la cosa sarà priva, prima o poi, nell’una o nell’altra legislatura, di risvolti politici significativi o magari decisivi nel sostegno dato o mancato all’uno o all’altro esecutivo?», obietta Daniele Capezzone. Al di là di questo l’ex portavoce e altri colleghi di partito notano un’«omogeneità» rispetto a una parte della cultura e della politica italiana. E l’esclusione di personalità riconducibili al centrodestra. «Restiamo in fervida attesa di un voto determinante nel quale i cinque senatori a vita, creati da "re Giorgio", saranno determinanti per la sconfitta del centrodestra e di Berlusconi», è la stoccata che arriva dal deputato Pdl Maurizio Bianconi. Si sfila dalla polemica, invece, il collega Francesco Paolo Sisto, che invita a evitare «indimostrabili dietrologie» e sottolinea la scelta di «continuità» di Napolitano e il profilo non politico dei prescelti.
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