domenica 8 gennaio 2017
Aldo, 65 anni, esodato e divorziato, si è ritrovato a dover vivere di espedienti. E ha deciso di aiutare gli altri.
Per due anni ha dormito in aeroporto, ora fa il volontario
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C’è il gelo delle notti d’inverno. Quando diventa decisivo trovare un rifugio caldo per sopravvivere fino all’alba. E c’è il gelo della solitudine, dell’abbandono, della deriva esistenziale. Della tentazione di lasciarsi andare. Quando per salvarsi diventa decisivo trovare la compagnia, la solidarietà, le amicizie giuste. «Che possono nascere anche fra persone senza dimora, come ho sperimentato nei miei due anni e mezzo di notti trascorse all’aeroporto di Linate. Ora ho casa. Non mia, sono ospite. Ma un tetto, un divano let- to, lo spazio per un guardaroba, ce li ho. A Linate, però, ci torno. A rivedere gli amici ancora là, a verificare come stanno e se hanno bisogno di medicine, a portare qualcosa da indossare che magari a me non serve». Aldo Scaiano, genitori lucani, nato e cresciuto al Corvetto, periferia sud est di Milano, ha 65 anni. Esodato. E divorziato. Così è diventato clochard. Ma la sua vita non è rimasta incagliata nelle secche dell’«emarginazione grave», per usare il gergo dei servizi sociali. «Bisogna aprire il cassetto dei sogni, non lasciarsi andare, darsi da fare. Per sé e per gli altri. Dare quello che hai».

«Avevo 62 anni – racconta – quando lo Stato ha cambiato le regole del gioco e mi ha detto che dovevo aspettare altri cinque anni per andare in pensione. Rimasto senza lavoro, non l’ho più ritrovato: utopia, a 62 anni, soprattutto se sei superspecializzato. Io sono esperto di informatica e ho lavorato per diverse aziende. Ho cercato anche lavori manuali: ma alla mia età chi ti prende?». L’altra «botta»: la separazione. «Già a 58 anni ero finito fuori casa. A volte le difficoltà personali sono più dirompenti di quelle economiche. Per fortuna i nostri due figli erano ormai autonomi. Uno lavora in Australia, l’altro in Svizzera». Quelle due «botte» lo hanno portato alla decisione: «Ricomincio da capo. Da solo». Ed è finito a Linate. «Casa mia nel 2012, 2013 e parte del 2014. Lì stavo soltanto la notte, a dormire sulle poltroncine. Ci sono i bagni: così puoi mantenere sempre il decoro personale. Quando accadevano litigi, furti, accoltellamenti, la polizia mandava fuori tutti e rimanevi all’aperto. Ma non ho mai corso rischi particolari, se non i soliti della vita di città. Più forti dei rischi, la solidarietà reciproca e le belle amicizie nate fra i 20-30 habitué di Linate». A salvare Aldo in quegli anni, anche la passione per la montagna e per la scrittura: «Di giorno stavo alla Biblioteca Sormani. Così ho scritto due libri sugli esploratori Nansen e Amundsen.

Mangiare? A Milano non si muore di fame. A pranzo andavo all’Opera San Francesco, a sera dalle suore di Madre Teresa o incontro alle unità di strada delle associazioni che girano la città. Ho iniziato a frequentare il Centro diurno La Piazzetta di Caritas Ambrosiana. Poi sono stato inserito in un progetto Caritas: Aus, Assistenza uomini separati. Per un anno e mezzo con altri tre adulti ho condiviso l’alloggio affidato alla Caritas da una parrocchia. E ho iniziato a mettere le mie capacità a disposizione degli altri, nei corsi di informatica che da tre anni tengo – gratis – all’associazione Arcobaleno. Con altri utenti della Piazzetta, intanto, abbiamo scritto una guida alla città vista dai clochard, I Gatti di Milano non toccano terra, e stiamo lavorando a una nuova guida alla 'città del bene e del fare', la città della solidarietà. Ora a pranzo vado all’Opera Cardinal Ferrari, dove faccio anche un po’ di volontariato. Proprio grazie a loro ho trovato casa: mi ospita un anziano utente dell’Opera. A Linate ho imparato che non il possesso, ma solo la condivisione e l’amicizia ti salvano».

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