giovedì 20 agosto 2020
A due giorni dalla chiusura delle liste per le Regionali, il nodo dell'alleanza giallo-rossa non si scioglie. Il livello della tensione sale. Ed è rivolta nei territori contro l'invito del premier
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo studio a Palazzo Chigi

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo studio a Palazzo Chigi - Ansa

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A due giorni dalla chiusura delle liste per le elezioni regionali, il nodo dell’alleanza Pd-M5s non si scioglie, anzi s’ingarbuglia. E il livello della tensione sale. L’ultimo appello del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che riaccende il dibattito con un’intervista a Il Fatto Quotidiano, si trasforma in un insuccesso. Il premier sostiene di trovare ragionevole «che le forze politiche che sostengono il governo provino a dialogare anche a livello regionale. In Puglia e nelle Marche presentarsi divisi espone al rischio di sprecare una grande occasione».

Un ultimo appello a ritrovare l’unità dal basso che interviene però su un Movimento 5 stelle già dilaniato sul tema. Il primo a reagire è il capo politico di M5s, Vito Crimi, che cerca di mediare con una timida apertura: «La costruzione di alleanze basate sui programmi – dice – è un valore aggiunto, in quanto il risultato di un percorso comune. Ma va fatto solo dove ci sono le condizioni, bisogna valutare le singole situazioni». Ma è da Danilo Toninelli, ex ministro e senatore, oggi responsabile nel "Team del Futuro" per le campagne elettorali, che arriva il no più secco: le intese si fanno «partendo da un accordo sui territori, questo non è avvenuto né in Puglia né nelle Marche per diverse ragioni, che nascono soprattutto dalle distanze nate nella precedente consiliatura. Non si può certo pensare a imposizioni dall’alto».

Sono risposte che "gelano" la timida speranza di rilanciare i rapporti organici tra i 2 partiti manifestata dal ministro Pd per gli Affari regionali, Francesco Boccia: «Mi aspetto che in queste ore M5s risponda all’appello di Conte su Marche e Puglia». Boccia si è augurato che si superi «un ottuso no». «Se questa risposta non dovesse arrivare – avverte il ministro – sarà inevitabile la nostra richiesta, dove possibile, di voto disgiunto, perchè se non si vota il candidato di centrosinistra vince la destra». Pronta la replica di Toninelli: «La richiesta di intese da parte di Boccia e del Pd è legittima», spiega, ma quello sul voto disgiunto è «un modo calcolatorio di concepire la politica che non ci appartiene, svilente verso i cittadini e offensivo verso la nostra identità».

Il muro contro muro diventa però evidente sui territori. In Puglia la candidata grillina Antonella Laricchia ribadisce il "no" a qualsiasi accordo con il Pd: «Chiaramente sono sacrificabile in ogni momento se qualcuno lo decide dall’alto. Ma non chiedetemi di piegare la testa, piuttosto trovate il coraggio di tagliarmela se volete salvare la mala politica di Emiliano e Fitto, perché finché non sarò rimossa da questo ruolo che mi è stato attribuito, andrò avanti». Anche il candidato presidente pentastellato nelle Marche, Gianni Mercorelli, respinge l’idea: una possibile alleanza tra M5s e Pd per le regionali «non c’è, l’uscita di Conte è comprensibile, ma è fuori tempo massimo, lui non è al corrente di quello che succede sui territori. Ne è la prova che non siamo soli: in 5 Regioni non andremo con il Pd».

Un altolà che cozza con l’obiettivo, in casa dem, di Goffredo Bettini, per il quale «almeno nelle Marche l’accordo si può fare», e del sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, in prima linea nelle trattative nella sua regione, convinto che «Conte ha ragione da vendere: le forze di governo si presentino insieme specie in Regioni, come le Marche, che saranno determinanti per il risultato nazionale. Proviamoci fino alla fine».

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