giovedì 20 settembre 2018
Verso un’intesa con 5 miliardi per Lega e M5s. Tria resiste al pressing
Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, al lavoro sulla Nota di aggiornamento al Def e sulla Manovra 2019

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, al lavoro sulla Nota di aggiornamento al Def e sulla Manovra 2019

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C’è una base in fermento che inizia a mostrare i primi segni di insofferenza. Perché dopo aver dato ampio credito al M5s con il voto del 4 marzo, a distanza di sei mesi l’elettorato pretende che almeno qualche promessa venga mantenuta e si trasformi in fatti tangibili. «Sui social network siamo inondati di richieste di cittadini che aspettano risposte urgenti», confidano alcuni parlamentari, in particolare quelli eletti al Sud. La sollecitazione numero uno, ovviamente, riguarda l’avvio del reddito di cittadinanza.

È proprio il pressing partito dal territorio a spingere gli attuali capigruppo di Camera e Senato del Movimento, ovvero Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, a salire a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio per ottenere adeguate garanzie sulla presenza nella manovra economica della misura che sta più a cuore ai 5 Stelle. Rassicurazioni che Giuseppe Conte ha fornito nel corso del confronto. «Il reddito di cittadinanza avrà un impatto significativo sul piano sociale, in modo da alleviare la condizione di tutti coloro che vivono in povertà assoluta», assicura il premier. Ma è evidente che non si fa ancora neanche un passo oltre gli annunci. Senza numeri precisi né coperture certe. Del resto, il livello di tensione con Giovanni Tria resta altissimo.

Anche se il rischio rottura non c’è. «Ognuno tira l’acqua al suo mulino, è il gioco delle parti. Tuttavia non si arriverà allo strappo», è la convinzione di sta assistendo da vicino al braccio di ferro tra il M5s e il Mef. Al ministro dell’Economia, comunque, si ribadisce in modo esplicito – e per il secondo giorno consecutivo – la necessità di trovare le risorse per cominciare a realizzare il programma di governo. Luigi Di Maio, in missione in Cina ma con la testa sulla legge di Bilancio, si raccomanda con i suoi fedelissimi a Roma affinché non cedano di un millimetro. Nel frattempo, il team di esperti economici di M5s e Lega continua a trattare sui contenuti della Finanziaria 2019. I due partiti chiedono la bellezza di quasi 10 miliardi a testa.

Oltre al cavallo di battaglia grillino, infatti, ci sono pure i desiderata del Carroccio da finanziare: dalle agevolazioni per i professionisti fi- no a una fiscalità meno opprimente per le imprese. L’ipotesi al vaglio è quella di dimezzare il pacchetto di interventi per ciascun partito da 10 a 5 miliardi. «La soluzione con il Tesoro si può trovare a metà strada», è il messaggio di apertura che filtra a sera da esponenti di punta del governo.

Nonostante l’indispensabile discesa dell’asticella delle ambizioni gialloverdi, resta il disperato bisogno di risorse fresche da trovare. In quest’ottica rientrano sia l’accelerazione su un provvedimento di pace fiscale – o condono mascherato, a seconda dei punti di vista – sia l’accordo politico raggiunto tra i due partiti di maggioranza sul taglio delle cosiddette pensioni d’oro (ora il limite di reddito è fissato a 4.500 euro).

La proposta di legge siglata M5s è stata infatti depositata ieri alla Camera e l’esame dovrebbe partire la prossima settimana. La stretta riguarderebbe anche i lavoratori delle organizzazioni sindacali come quelli degli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale: Quirinale, Parlamento, Governo, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Csm, Cnel.

La sforbiciata libererebbe altri 'spiccioli' utili a pagare gli interventi promessi. Ma anche così il gettito non sarebbe sufficiente. Si lavora affinché Tria abbandoni la ferma volontà di contenere il deficit del 2019 all’1,6% in rapporto al reddito nazionale in favore di un aumento dell’indebitamento netto che si possa spingere fino al 2,5%. In pratica, si punta a forzare la mano prima con il Tesoro e poi con Bruxelles. Di Maio dalla Cina ha proposto all’Europa uno scambio: più deficit quest’anno a fronte dell’impegno a rientrare nei parametri dal 2020. In cambio, invece, dal fronte leghista, si è disposti a qualche rinuncia 'previdenziale'.

L’obiettivo annunciato da Salvini prevede quota 100 con 62 anni di età e 38 di contributi per tutti i lavoratori a partire dal prossimo anno. Allo studio, però, ci sono pure opzioni più soft. Come l’ipotesi di concentrarsi in una prima fase solo su alcune categorie più deboli, oppure quella di far salire l’età a 65. Per la Lega, però, l’aspetto decisivo è il bacino di destinatari del provvedimento. Si ragiona solo su una platea ampia, «di almeno 200mila persone».

Le misure della discordia

1 - La flat tax è un sistema di tassazione che applica una singola aliquota fiscale a tutti i livelli di reddito. In campagna elettorale si è molto parlato della misura, che in forma soft dovrebbe partire già in questa manovra, ma vanno superate le resistenze del Tesoro che non vuole forzare la mano sul deficit. La flat tax, seppur nella versione light rivolta alle partite Iva, costerebbe circa 2 miliardi ma la Lega vuole introdurre anche un’aliquota Ires agevolata del 15% su tutti gli utili reinvestiti in azienda per l’acquisto di macchinari e assunzioni.

2 - Ricontrattare al ribasso con le aziende farmaceutiche i prezzi dei super-farmaci acquistati dallo Stato, a partire da quelli per l’epatite C, utilizzare i risparmi che verranno dalle misure del tavolo per la farmaceutica e agire contro gli sprechi legati ai farmaci. La scure del ministero della Salute potrebbe abbattersi su queste tre voci con l’obiettivo di recuperare risorse per poter arrivare, nell’ambito della manovra, al taglio dei superticket in Sanità ed alla rimodulazione degli altri ticket.

3 - Per M5s è da sempre la misura-simbolo: non ci può essere manovra senza il reddito di cittadinanza. Il problema è che questa forma di sostegno alla povertà, ben più ampio del Rei (che verrebbe inglobato) avviato dal centrosinistra, costa molto, fino a 17 miliardi annui. Il solo aumento delle pensioni minime a 780 euro da solo costa circa 5 miliardi. Per questo, pur prevedendo un avvio graduale, il Movimento punta ad ottenere subito 10 miliardi. Ma la cifra è difficile da finanziare, tanto più che sembrano svanite nel nulla le coperture sbandierate nella passata legislatura.

4 - L’obiettivo della Lega è quello di una norma "più ampia possibile", da far partire in tandem con la Flat tax. Un’operazione, in ogni caso una tantum, per la quale il sottosegretario Bitonci ha indicato un tetto per contribuente alto, a un milione di euro (con l’ipotesi di 3 aliquote: al 6, 15 e 25%), accompagnata anche da una "voluntary disclosure" sulle cassette di sicurezza. M5s non vuole però una "pace" che assomigli molto a un condono e, nelle ultime ore, sia Di Maio sia Salvini hanno frenato su quest’intervento, che entrerà in un dl fiscale collegato.

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