venerdì 9 agosto 2013
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La globalizzazione dell’indifferenza verso i migranti da parte di coscienze e politici, di cui ha parlato il Papa nell’ormai storica visita a Lampedusa, affonda le radici anche nella mancanza di strumenti giuridici internazionali adeguati ad affrontare i nuovi flussi misti. La recente vicenda dei 102 profughi subsahariani accolti dall’Italia dopo che Malta non li aveva fatti sbarcare è solo l’ultima dimostrazione delle falle di un sistema di norme umanitarie che risale alla Guerra fredda. Lo sostengono studiosi come Laura Zanfrini, sociologa della Cattolica, consultrice del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e componente del comitato scientifico dell’Ismu. Da anni è anche direttore scientifico della Summer School "Mobilità umana e giustizia globale", promossa dalla facoltà di Sociologia in collaborazione con lo Scalabrini Migration Institute e che quest’anno, nel Salento, affronterà proprio il tema delle "dignità liquide" nelle vite dei migranti.

Liquide perché sulle rotte che conducono verso l’Europa,  la vita e diritti vengono spesso calpestati impunemente da trafficanti e spesso dalle polizie di frontiera e nei paesi di ricezione è difficile trovare consensi alle politiche di accoglienza. Come è cambiata la mobilità?Mi rifaccio all’ultimo documento presentato al Papa dal Pontificio consiglio della pastorale per i migranti. Sostiene che il discrimine tra migrazioni economiche o libere e migrazioni forzate è sempre meno nitido. In Italia arrivano flussi misti nei quali migranti forzati e rifugiati somigliano sempre meno all’idealtipo cui si ispira la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, il dissidente politico perseguitato dalle autorità del suo Paese. Le norme andrebbero ripensate e adattate all’attualità. La definizione di mobilità forzata appare problematica, i flussi misti sono a un tempo causa e conseguenza di un altro nodo critico: la crescita dei potenziali migranti che fanno appello a ragioni di carattere umanitario.Da cosa si fugge? Non più solo dallo Stato. Anche da un attore della società civile e perfino da un membro della propria famiglia. Pensiamo a una figlia che fugge da un’infibulazione o da un matrimonio combinato. E i timori di persecuzione non concernono più solo l’imprigionamento, ma la più ampia sfera dei diritti umani, comprendendo, ad esempio, la paura di subire la sterilizzazione, le violazioni dei diritti degli omosessuali, la sopravvivenza messa a repentaglio da catastrofi ambientali. E ancora, la migrazione è a volte non solo forzata, ma addirittura coatta, realizzata attraverso varie modalità di tratta e riduzione in schiavitù. Infine, i sistemi di protezione sono inadeguati a rispondere ai bisogni e ai rischi specifici della componente femminile.Cosa ha peggiorato la situazione dei rifugiati?Gli stati che ricevono sono preoccupati di controllare, contrastare e "difendersi" dagli arrivi. Quindi le migrazioni forzate tendono a essere considerate in occidente, al pari di quelle volontarie, un fenomeno indesiderabile mentre è diffusa la convinzione che la richiesta di protezione umanitaria rappresenti spesso un modo per aggirare le norme sull’immigrazione. Per rendere più efficace la protezione di coloro che sono davvero nella necessità occorrono azioni che agiscano su vari livelli di responsabilità. E quali sono le azioni?Il primo livello di responsabilità è quello della comunità internazionale e riguarda ad esempio le Convenzioni sui diritti umani. Il secondo chiama in causa la responsabilità delle autorità nazionali dei Paesi di destinazione, che dovrebbero a garantire la protezione ai rifugiati e richiedenti asilo, ma anche a estendere le possibilità di ingresso per i migranti economici. Un altro livello riguarda le responsabilità delle autorità dei Paesi d’origine che, oltre a chiudere sovente gli occhi sui fenomeni di traffico di esseri umani, presentano gravi omissioni in tutti quegli ambiti di intervento politico che possono contribuire a contrastarlo e a offrire valide alternative alla migrazione. Infine, va considerata la responsabilità dei singoli e delle famiglie coinvolti nei processi migratori, spesso schiavi di modelli di comportamento e spinte all’emulazione che fanno apparire l’emigrazione una soluzione desiderabile indipendentemente dal suo prezzo e dalla sue conseguenze per la dignità delle persone.

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