martedì 26 febbraio 2013
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Arturo Parisi medita con particolare rammarico su questo mancato successo del centrosinistra. Lo fa ripensando al progetto, tradito, dell’Ulivo prodiano. E l’ormai ex deputato democratico (rimasto fuori volontariamente) guarda al futuro vedendo in ogni caso un governo all’orizzonte, più o meno di larghe intese "obbligate". Perché tornare subito al voto sarebbe «necessario», ma in queste condizioni non si può fareAncora una volta il centrosinistra si arresta a un passo dal traguardo. È una "maledizione" del passato che si rinnova?L’unico precedente comparabile sono le elezioni del ’94. Allora come oggi in campo non fu tuttavia il centrosinistra, ma la sinistra o, meglio, i progressisti, come anche oggi Bersani è tornato a chiamare la sua alleanza. In contrasto col progetto che voleva il Pd un partito nuovo, chiamato ad organizzare il campo di centrosinistra che si era riconosciuto nell’Ulivo, Bersani è tornato nel solco del passato: un partito rappresentante in Italia del Pse europeo, anche se non figlio del socialismo italiano. Se è vero, come dice D’Alema, che la maggioranza degli italiani ha difficoltà a riconoscersi nel partito della sinistra, i casi sono due: o cambiano gli italiani o tocca al partito dimostrare che è cambiato lui. Evidentemente, il Pd di Bersani non è ancora riuscito nell’intento. Vede il rischio ingovernabilità all’orizzonte?Quello che so, e da tempo, è che non sarebbe comunque facile per nessuno governare il Paese con un numero di seggi legali troppo superiore ai consensi reali. Nella situazione di frammentazione prodotta dal Porcellum, invece che a una competizione tra forze capaci di raccogliere attorno a una proposta di governo la maggioranza dei cittadini, si è finito per gareggiare a chi era il "meno piccolo". Ognuno si è rivolto solo ai suoi, pensando che potevano bastare per arrivare primi, e Berlusconi si è concentrato sull’obiettivo di riconquistare la maggioranza dei voti perduti. È così che troppi che non appartenevano più a nessuno si sono riconosciuti nell’iniziativa di Grillo o si sono ritirati nell’astensione. A nessuno sarà comunque possibile governare il Paese con poco più del 20% dei voti.È possibile ipotizzare soluzioni diverse di governo?Diciamo doveroso. Ma non sarà facile. Prima è necessario che si prenda coscienza del guaio in cui ci siamo cacciati e del modo in cui ci siamo finiti. Delle troppe promesse mai seguite da fatti. Basta rileggersi i punti della protesta di Grillo: il dimezzamento dei parlamentari, l’abolizione del finanziamento, il superamento delle Province, i costi della politica, e, prima e dopo di tutto, la legge elettorale. Sento ripetere da molti che il primo impegno sarà la legge elettorale. E ricordando che appena un anno fa, per l’auspicio di troppi e col sollievo di tutti i partiti, fu respinta la nostra richiesta di referendum, mi allarmo. A quali soluzioni pensa?Certo senza procedere prima alle necessarie riforme sarà tutto difficile o, peggio, vano. E, se riforme debbono esserci, è difficile immaginarle senza una larga intesa. Come si potrebbe mai tornare a rieleggere il Senato senza aver superato il bicameralismo come avevamo promesso? Per non parlare del sistema presidenziale, in pochi giorni approvato e in meno giorni dimenticato, senza che nessuno si accorgesse neppure della sua approvazione.Che percentuale darebbe a un ritorno al voto in tempi brevi?Bassa. E aggiungo purtroppo. Andare al voto sarebbe infatti necessario. Ma andarci senza regole nuove, è senza senso. Anche perché la mancata soluzione della questione italiana non può che aggravare la questione europea.Per un governo "di transizione", quali nomi vede possibili?O una persona figlia del compromesso imposto dal risultato, o una persona che è rimasta estranea alla competizione.
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