sabato 2 febbraio 2013
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​Rilanciare la visione cristiana delle Acli e rappresentare il ceto medio popolare falcidiato dalla crisi. Sono due tra gli obiettivi del neo presidente aclista Gianni Bottalico, eletto lo scorso sabato dal consiglio nazionale. Bottalico, 56 anni, natali baresi, ma emigrato a Seregno in tenera età, era dallo scorso maggio vicepresidente nazionale dopo aver guidato dal 2004 al 2012 le Acli provinciali di Milano, Monza e Brianza. In attesa dell’imminente documento sulle prossime elezioni, il primo della nuova presidenza nazionale, ecco cosa intende fare il successore di Andrea Olivero nel prossimo triennioBottalico, quali obiettivi si è posto?Anzitutto rilanciare la nostra visione cristiana. Siamo una grande associazione ben radicata con circoli e patronati e che conta un milione di iscritti. Nei prossimi anni dovremo diventare protagonisti del sociale, leggendo e facendoci carico, grazie ai nostri volontari e agli operatori, dei bisogni dei territori con il nostro spirito solidale. Penso soprattutto al ceto medio popolare, di cui la politica si è disinteressata e che noi vorremmo rappresentare. A che tipo di rappresentanza pensa?Le Acli devono riproporre con forza il tema della mancanza di lavoro, sia per quanto riguarda i giovani che per la fascia dei 40-50 anni. Occorre una risposta della politica a questa situazione di crisi che sta assottigliando sempre di più la fascia del ceto medio. Bisogna arrestare il declino. Poi è indispensabile cambiare il welfare, oggi inefficiente, adottando nuove politiche di contrasto all’indigenza. Per questo abbiamo invitato la Caritas italiana a una riflessione su un nuovo Piano anti-povertà che presenteremo il 12 febbraio prossimo. Proporrete dunque una nuova social card?Più che altro pensiamo a un nuovo modello di welfare, le risposte assistenzialistiche e compassionevoli non bastano. La sfida è trovare, in tempi di carenza di risorse pubbliche statali e locali un nuovo mix tra pubblico e privato sociale per assicurare servizi e interventi efficaci a chi è in uno stato di povertà assoluta.A Milano lei è stato uno dei protagonisti del Fondo famiglia e lavoro dell’arcidiocesi lanciato dal cardinale Tettamanzi e riproposto dal cardinale Scola. Come si possono sostenere i nuclei in difficoltà economica?In due modi: con una riforma fiscale e con un ampliamento dei servizi. Per i quali, vista la situazione delle finanze pubbliche, occorrerà inevitabilmente il coinvolgimento del terzo settore, che finora si è letteralmente caricato il welfare sulle spalle, ma non può reggere a lungo.<+nero_bandiera>La questione-immigrazione vede in agenda per la prossima legislatura la cittadinanza per le giovani generazioni. Le Acli proseguiranno il loro impegno per far approvare la riforma?<+tondo_bandiera>Certo, noi abbiamo aderito con diverse associazioni alla campagna «L’Italia sono anch’io». Non solo continueremo a batterci per la riforma della legge sulla cittadinanza, in modo che venga concessa ai minori nati in Italia da genitori regolari e residenti da anni, ma anche per la concessione ai maggiorenni stranieri, che hanno lavoro, residenza e pagano le tasse, del diritto di voto amministrativo.Che ruolo assegna alle Acli in Europa e nella cooperazione internazionale?Continueremo a sognare un’Europa unita, con una sola politica di difesa e una politica fiscale, in modo che non ci siano discriminazioni tra i cittadini. Siamo presenti in molti Paesi europei con i nostri servizi, li intensificheremo per stare accanto agli italiani che hanno ripreso – spero temporaneamente – a migrare. La cooperazione internazionale è inscritta nel nostro dna. Intensificheremo l’azione delle Acli per la costruzione della pace attraverso i progetti di sviluppo nelle aree povere del pianeta.
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