martedì 1 marzo 2011
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Francesco Beschi viene da una terra dura e schietta come questa, poco avvezza a «parole di consolazione che non consolano nessuno». Per il vescovo di Bergamo, stare «dentro al dolore» dei Gambirasio e di tutta Brembate significa porsi il problema del male «che ci è entrato in casa» e di come combatterlo, come spiega in quest’intervista, partendo dalla ricostruzione di una cultura della fedeltà.“Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare...”. Il vangelo di Matteo lo conoscono tutti, ma quest’anatema fa ancora qualche effetto oggi?Ritengo di sì. La parola di Gesù è di una chiarezza e di una violenza che scuote l’anima di tutti e in tutti i tempi. Io non ho figli, ma penso a tanti genitori e vi dico che semplicemente guardando un bambino posso comprendere tutta la gravità di simili atti. Negli occhi dei bambini vedo il riflesso della Parola. Un assassinio come questo cambia profondamente la vita di una comunità: alimenta le paure, annichilisce la fiducia nell’altro, anche il vicino viene guardato con sospetto. Come si fa a vivere con il male in casa?Il male è sempre in agguato, attiene ai limiti umani e non è il frutto del destino o dell’imponderabile ma è il risultato di scelte personali: in queste occasioni ci rendiamo conto che al concetto, a volte vago, del male, corrisponde un soggetto ben preciso, il malvagio. Il male in casa alimenta comportamenti di paura: ho incontrato molti genitori in questi tre mesi che avvertono la propria responsabilità verso i figli in modo più pensoso, non ossessivo ma certamente più serio e stringente di prima. Per non mettere la nostra vita e quella dei nostri figli sotto il segno della paura occorre trasformare quest’attenzione in comportamenti forti, farci guidare dai valori. Devo dire che la comunità di Brembate in questo senso sta dando un grande esempio di solidarietà, ha manifestato in questi mesi una grande passione per la vita e per l’altro e l’ha tradotta in momenti di fede e di preghiera che la aiutano non poco ad affrontare quest’ultimo, immenso dolore. E che aiutano tanto la famiglia Gambirasio.Lei ha detto che non si deve alimentare nessun sentimento di vendetta. Teme la rabbia dei genitori di Brembate?L’affievolirsi della fiducia provocato da questi fatti può spingere nei territori dell’incertezza e della paura come in quelli della rabbia e della vendetta, ma se tutti ricerchiamo concretamente la giustizia - mi riferisco alla giustizia umana, che resta parziale ma è una delle basi della civiltà - possiamo contenere questa deriva che porterebbe alla giustizia sommaria. Comunque vada l’inchiesta, sarà difficile spiegare ai genitori di Yara perchè la loro bambina è stata uccisa così...Come ho detto, ora dobbiamo stare dentro il loro dolore, non lasciare sola quella famiglia, ma dopo, quando tutto sarà finito, bisognerà interrogarsi davvero. Avvertiamo il bisogno di nuove condizioni di fiducia e non le costruiremo se non riusciremo a seminare fedeltà in questa nostra società. Fedeltà all’altro, fedeltà al coniuge, fedeltà al proprio lavoro, fedeltà all’impegno educativo... Invece, in questi anni abbiamo irriso alla fedeltà, riconosciamolo! Non si può fondare una società sulla fiducia reciproca se non possiede una cultura della fedeltà. Dove porterà questa deriva?Sicuramente una certa spettacolarizzazione del male, operata dai media agendo sulla curiosità morbosa, impedisce di costruire una società più umana e non è un caso che la comunità di Brembate abbia difeso la sua Yara con l’arma della riservatezza. Ma peggio della malvagità che emerge da violenze come questa c’è solo la banalità: una società che non avverte più i confini del bene e del male è una deriva contro cui la Chiesa lotta e continuerà a lottare. Dobbiamo cercare di creare spazi in cui le persone possano far emergere la profondità di se stessi e dove possano rendersi conto che esiste il peccato ma anche la Grazia. La banalità è il pericolo della nostra epoca, ma possiamo ancora impedirle di imporsi.
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