giovedì 17 gennaio 2019
Il caso del video postato su Facebook da Bonafede: eccessi mediatici, anche agenti di polizia esposti a potenziali pregiudizi per la loro sicurezza. I penalisti minacciano un esposto
Mauro Palma

Mauro Palma

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Tra interrogazioni parlamentari e annunci di esposti giudiziari, restano accese le polemiche sull’enfasi mediatica data dall’esecutivo all'arresto di Cesare Battisti. La Camera penale di Roma si dice pronta a presentare un esposto sul video pubblicato sul profilo Facebook del ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, in cui vengono mostrate le varie fasi dell’arrivo del terrorista in Italia. In Parlamento, le sinistre di opposizione si fanno sentire, col Pd in testa. La vicepresidente del Senato Anna Rossomando deposita un’interrogazione per chiedere se gli stessi agenti penitenziari ripresi nel video non siano ora «esposti a rischi per la loro sicurezza e incolumità». La sua collega di partito Alessia Morani, avvocato, annuncia «un esposto al Garante nazionale per i detenuti sul video» in cui Cesare Battisti viene «esibito come un trofeo di caccia». Mentre Roberto Speranza, coordinatore di Mdp, invita il Guardasigilli Bonafede a dimettersi. Intanto ieri il cardinale Angelo Becciu, prefetto vaticano della Congregazione per le cause dei santi, nella sede del Senato di Palazzo Giustiniani ha messo in guardia dal risvegliare «certi istinti forcaioli».

«È davvero paradossale. Di solito di certi "eccessi mediatici" vengono imputati a giornalisti o comunicatori, penso sia la prima volta che ad andare sopra le righe siano due ministri della Repubblica...». Nell’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, Mauro Palma osserva ancora una volta le immagini del video postato su Facebook dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: «Lo scivolone istituzionale c’è stato, bisognerebbe riconoscerlo e provare a porvi rimedio...».

In che modo?
Confido che si provvederà a rimuovere quel video dal web quanto prima. Fatto questo, bisognerebbe avviare una seria riflessione su alcuni punti.



Quali?

I filmati girati dagli agenti durante le procedure di arresto servono a documentarne la correttezza, anche come tutela contro eventuali contestazioni. Ma sono video "sensibili" e vanno conservati a quello scopo, non per confezionare video "propagandistici".

Qualcuno ha parlato di "spot ministeriale" o della esibizione di "un trofeo di caccia". Alcuni partiti annunciano interrogazioni parlamentari ed esposti, anche al suo ufficio. Cosa ne pensa?
Riflettevo su un punto: se un giornalista entra in un carcere, gli viene detto di non riprendere le persone in volto, ma solo in modo non riconoscibile. E invece il Guardasigilli cosa fa? Mette su Facebook e sul sito della rivista online ministeriale un filmato in cui, oltre al detenuto, sono riconoscibili anche agenti di polizia, esponendoli a potenziali pregiudizi per la sicurezza personale. Peraltro, sulla condotta da tenere in tali trasferimenti, c’è una norma esplicita.

Cosa prevede?
La legge 492 del 1992, all’articolo 42-bis comma 4, prescrive che nelle traduzioni dei detenuti siano «adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità».

E chi non lo rispetta, cosa rischia?
Quel medesimo comma recita: «L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari». Certo, si pensava a violazioni da parte del personale di polizia... Il legislatore di allora non poteva supporre che fossero i vertici delle istituzioni a non rispettarla.

Quelle norme nacquero durante Tangentopoli, dal dibattito sul caso Carra, esponente Dc ripreso con le manette ai polsi. Ma esistevano solo tg e giornali. Oggi, in epoca di Facebook e Twitter, non servirebbe attualizzarle, a partire da questa vicenda?
I principi enunciati in quella legge restano validi, anche rispetto all’evoluzione tecnologica e ai nuovi media. Più che un’altra legge, forse servirebbe una normazione secondaria, con regolamenti o atti amministrativi da parte del governo, in particolare del ministero della Giustizia. Certo, se poi è proprio il ministro ad eccedere... Servirebbe un ritrattista, perdoni la metafora, in grado di saper fare un proprio autoritratto.

Oltre alle dirette social, non c’è un problema di linguaggio? Lo Stato amministra la giustizia, non solletica sentimenti di vendetta...
In generale, la vicenda avrebbe richiesto un atteggiamento più sobrio delle istituzioni, sul piano mediatico ma anche su quello lessicale. Battisti, sia chiaro, ha commesso gravissimi reati e ora dovrà fare i conti con l’esecuzione di quella pena che la giustizia gli ha inflitto. Ma la frase «marcirà in carcere», pronunciata dal ministro dell’Interno più volte, è indicativa di un modo di concepire la finalità della pena opposto ai principi fissati dalla Costituzione. Non dubito che taluni epiteti o l’uso enfatico delle immagini possano essere funzionali ad acquisire consenso in una fetta dell’opinione pubblica. Ma certi toni, un certo linguaggio finiscono per fare spazio a una cultura di disgregazione sociale e di tensione, di cui il Paese non ha davvero bisogno.

Battisti è un detenuto conosciuto. A quanti carcerati poco noti accadono situazioni analoghe, senza che nessuno protesti?Non molti, ma accadono. Tempo fa, in un tweet il ministro Salvini diede della «bestia» a un immigrato accusato dello stupro di una minorenne. Poi quell’uomo è stato assolto in giudizio. Ecco, su certe affermazioni, chi rappresenta le istituzioni dovrebbe riflettere a fondo, prima di pronunciarle.

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