martedì 5 gennaio 2010
Il sostituto procuratore Franco Mollace, che da anni vive sotto scorta, non si fa intimorire dall’ordigno esploso domenica davanti al tribunale di Reggio. «Alle cosche non basta più inabissarsi o infiltrarsi in settori dello Stato Ormai la ’ndrangheta ha un piano preciso: colpire in modo frontale la nostra strategia del rigore».
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    «La ’ndrangheta ha fatto una valutazione di strategie. Dice a noi magistrati: voi avete individuato una strategia di rigore e noi vi dimostriamo di averne una nuova: l’attacco frontale a chi dimostra rigore». Un nuovo rigore dopo «episodi di sicura tolleranza, di sicura connivenza, di sicura incapacità». Nelle istituzioni e anche nella magistratura. Franco Mollace non ha dubbi sulle motivazioni della bomba di domenica a Reggio Calabria. Dopo una lunga attività alla Dda, da alcune settimane è uno dei sei sostituti della procura generale, proprio l’obiettivo dell’attentato. Magistrato tra i più esperti di ’ndrangheta, titolare di inchieste delicatissime, dal 1992 vive sotto strettissima scorta, lui e la sua famiglia, ma come i suoi colleghi la bomba non gli fa cambiare vita. «Continueremo a fare quello che abbiamo fatto fino all’altro giorno, con la stessa determinazione».Dottor Mollace, la ’ndrangheta non si è mai mossa sul terreno dell’attacco frontale alle istituzioni.È vero. Tradizionalmente ha sempre rifiutato questo tipo di strategia. Quando ha potuto ha optato per l’inabissamento. O ha utilizzato l’infiltrazione nei vari settori non escluso l’apparto istituzionale più importante, cioé quello giudiziario.Cosa le ha fatto cambiare strategia?Il gioco deve valere la candela, a meno di non ritenerla l’azione di qualcuno che ha agito senza riflettere, e sappiamo che questo non è. Ci sono elementi, di cui evidentemente non posso parlare, che conducono a ritenere che ci sia una strategia precisa e pianificata. E allora ci dobbiamo domandare perché la ’ndrangheta faccia questo. In che senso la posta in gioco deve essere così alta.Qual è questa posta in gioco?A tutte la latitudini, e non solo a Reggio Calabria, la ’ndrangheta tenta di giocare su più tavoli e anche quando gioca sullo stesso tavolo fa più partite. La prima mano probabilmente è capace di concederla agli avversari. Sa che c’è un primo impatto, quello dell’attività investigativa, e quindi mette in conto carcere e sequestri. Ma sa che c’è una seconda mano in giudizio d’appello dove probabilmente per un sistema di meccanismi - non dico per un sistema di corruzione o di collusione - pensa di volgere le sorti della partita a proprio favore. Non voglio fare paragoni col passato ma non c’è dubbio che il secondo grado di giudizio ha da sempre rappresentato questa aspettativa.Ha rappresentato una mano debole per le istituzioni?Ha rappresentato il ventre molle. Ora, invece, la procura generale non ha mostrato i muscoli o fatto chissà che cosa di straordinario, ma ha solo dimostrato che c’è un corso nuovo, regolare, fisiologico, che non c’è una gestione burocratica dei processi. Questo è un discorso molto pericoloso per i mafiosi: se si chiude questa ulteriore porta sarà molto difficile per la ’ndrangheta.Vuole dire che per anni si è convissuto con la ’ndrangheta anche nei palazzi delle istituzioni?Sarebbe troppo facile dire "non lo so" oppure "sì, è probabile" o "assolutamente no". Non si può generalizzare. Purtroppo ci sono stati episodi di sicura tolleranza, di sicura connivenza, di sicura incapacità. Ma devo anche dire che sono stati di più quelli di vero impegno e di grandi risultati.C’entrano i sequestri dei beni?È uno dei temi caldi. Ma non trascurerei la gestione dei processi o il delicato versante dei benefici penitenziari e dell’esecuzione delle pene e le estradizioni (tutte competenze della procura generale, ndr), cioè quei settori dove si dimostra di essere rigorosi e coerenti. Allora il discorso prende una piega seria...Cosa fa più male alla ’ndrangheta?Non è una singola cosa che mette in pericolo la sua struttura. È invece l’affrontare le cose con decisione. Quando capisce che c’è una struttura giudiziaria che si muove all’unisono, senza cedimenti, a quel punto diventa temuto il carcere, la confisca, quando il bene non solo è confiscato ma realmente destinato a utilità sociale. Quando si capisce che non ci sono macchie né lacune nell’azione di contrasto e che una volta iniziata viene portata a conclusione secondo quanto vuole il legislatore, è lì che la ’ndrangheta individua il momento di svolta, cioè dice "questa volta si fa sul serio".Tutto questo dà un’immagine molto moderna della ’ndrangheta.Capace di tessere strategie, di proporsi in tutti i modi. Se deve apparire lo fa anche in questi modi violenti, se deve scomparire si inabissa. Intelligenza e politica non comune. Dimostra la sua straordinaria potenza. Forse ancora sottovalutata a certe latitudini. Da noi sicuramente no.
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