venerdì 22 ottobre 2010
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Sono state ore lughissime quelle di ieri per Cira Antignano, mentre all’ospedale Versilia di Viareggio il professor Lorenzo Varetto esaminava quel che resta del corpo di suo figlio, morto il 25 agosto nel carcere di Grasse (Francia). Ci era finito cinque mesi prima con l’accusa di aver utilizzato una carta di credito fasulla in un casinò della Costa Azzurra. Poi più nulla: nessun processo. Solo mesi di carcere, sfociati il 25 agosto nella morte. A 36 anni di età.Signora Antignano, il corpo di Daniele è arrivato in Italia soltanto il 14 ottobre e per intercessione del nostro governo. Un mese e mezzo per riavere la salma... A lei era stato permesso di vederla, in Francia?Ho potuto vedere il corpo di mio figlio una volta sola, il 29 agosto, e per tre minuti, grazie al console italiano a Nizza. Ufficialmente mio figlio era morto per un infarto, ma io so che non aveva mai avuto problemi di cuore. E comunque se un ragazzo muore di infarto non è conciato in quel modo.Ovvero? Che cosa ha visto in quei tre minuti?Era fasciato dalla testa ai piedi, come una mummia, per intenderci, e sottolineo che il corpo non aveva ancora subìto l’autopsia. Erano scoperti solo occhi, naso e bocca, il naso sembrava rotto e la parte sinistra del volto tutta escoriata. Quel giorno ho lasciato loro gli abiti in modo che me lo vestissero, ma i giorni scorsi, quando mi sono di nuovo recata in Francia, i vestiti erano ancora lì, e a me è stato impedito di vederlo nonostante il permesso dei magistrati. Sempre secondo la versione ufficiale, le è stato impedito "per motivi umanitari".La realtà è che il corpo era stato conservato a 4 gradi sopra lo zero anziché 20 sotto, ormai era decomposto. Il medico legale di Viareggio che era con me mi ha detto che mai aveva visto un cadavere conservato in quella maniera. Io non so cos’è successo in quella cella, di certo ora si sa che il naso era rotto davvero.Dall’autopsia non risultano lesioni da trauma, ma certezze sulle cause della morte non ce ne sono.Io posso solo attendere che si faccia giustizia e chiarezza, ma se penso a come sono stata trattata io che sono una donna di 66 anni dalla polizia francese, mi chiedo che cosa potrebbero aver fatto a lui.Lo scorso 13 ottobre lei è stata persino arrestata. Perché? Che cosa aveva fatto?Mi ero recata davanti al carcere di Grasse con mia cugina per protestare, pretendevo di sapere cos’era successo a mio figlio e volevo mi ridessero il suo corpo da seppellire. Così ci siamo messe nel parcheggio delle auto antistante il carcere con un lenzuolo, sul quale avevamo scritto "Carcere assassino, me lo avete ammazzato due volte". È bastato questo perché gli agenti penitenziari mi ammanettassero come una criminale, con le mani dietro la schiena, e uno di loro mi prendesse a calci lasciandomi con tre costole incrinate, come attestato poi in ospedale. Sbattuta in galera, la sera sono uscita solo grazie all’interessamento del nostro console. Altrimenti magari sarei rimasta sepolta in una cella per chissà quanto tempo, come mio figlio.Tutto per un lenzuolo con una scritta? Nel Paese della "liberté, égalité, fraternité"? Mi chiedo in che mondo viviamo... Poi mi hanno buttata fuori senza un aiuto, ero abbandonata a me stessa, non sapevo dove andare, Grasse, nota come la "città dei profumi", in realtà è un dedalo di stradine maleodoranti tutte in salita e in discesa, avevo male alle costole, le braccia indolenzite dalle manette... Sono scoppiata a piangere e un giornalista italiano della Rai mi è venuto in soccorso. Il giorno dopo, però, grazie al ministro Frattini che ha messo a disposizione un C-130, sono partita per l’Italia con Daniele. L’aereo serviva per sveltire le pratiche, dato che si credeva che il suo corpo fosse congelato, invece mi hanno restituito un cadavere vuoto. Dove sono finiti il cervello, il cuore, il fegato, la milza? Non spariscono gli organi per una semplice autopsia da infarto! Dovevo riabbracciare mio figlio, mi hanno ridato una carcassa.Della carta di credito fasulla che cosa mi dice?Io di quella carta non sapevo nulla, Daniele era in Francia con due amici, non so di chi fosse la responsabilità. Dico però che in Italia per un reato del genere dopo tre giorni sarebbe stato agli arresti domiciliari, certo non in carcere per sei mesi e senza un processo.Quando lo ha visto in vita l’ultima volta?Erano i primi di maggio. Fece di tutto per tranquillizzarmi, mi disse che andava tutto bene. Ma poi in una lettera mi ha raccontato un’altra verità: "Ho 41 di febbre, suono il campanello per chiedere aiuto ma nessuno viene a vedere... Non so se arrivo a fine lettera". E l’ultima volta che lo ha sentito?Cinque giorni prima della morte, il 20 agosto, attraverso il cellulare di un altro detenuto... Guardi che in quel carcere c’è di tutto, cellulari, armi, droga, comanda la comunità algerina, mi dicono. Lui era felice come un bambino di aver trovato quel cellulare e di aver potuto chiedere se gli lasciavano fare una telefonata alla mamma. La sua speranza era che con la fine delle ferie finalmente tornassero i giudici e gli facessero questo processo. Io lo avvertivo di non farci la bocca, ma il suo sogno era passare il Natale a casa con me e suo fratello: da quando era separato vivevamo insieme. Mio marito invece è mancato vent’anni fa...Sulle cause della morte parlerà l’autopsia. Ma nulla potrà giustificare quanto è stato fatto a una madre, ammanettata e presa a calci per aver scritto su un lenzuolo il suo dolore.Non mi hanno messa a tacere, io andrò avanti fino in fondo.
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