martedì 24 marzo 2020
Secondo il docente di Diritto pubblico comparato a Perugia, però, scontiamo innanzi tutto una riforma incompleta del Titolo V della Costituzione
Il costituzionalista Francesco Clementi

Il costituzionalista Francesco Clementi - Ansa

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«Il governo Conte è l’unico governo della storia repubblicana che ha di fronte una vera guerra da combattere, e non si nasce preparati per una guerra, lo si diventa combattendo. Inquesta logica è chiaro che il premier è stato stretto tra due necessità: la rapidità di decidere su fatti che non si conoscevano e l’uso di uno strumento normativo che ha portato a una certa confusione». Francesco Clementi, docente di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia, spiega il conflitto di poteri tra Stato e Regioni, in questa gestione dell’emergenza, per lo più con il ricorso ai Decreti del presidente del Consiglio. «Siamo stati la prima democraziaa battersi contro il coronavi-rus, inevitabile un certo gradodi confusione e di instabilità».

A maggior ragione servirebbe certezza del diritto.
Quando nel 2001 il Parlamento approvò la riforma del Titolo V, quel testo mancava di due importanti elementi: la trasformazione del Senato in un "Senato dei Territori", che avrebbe dato agli stessi la giusta dignità costituzionale, e la clausola di supremazia, cioè una norma che consentisse di avocare allo Stato centrale i poteri di fronte a grandi emergenze. Mettiamo in fila le tre cose: una pandemia checolpisce una democrazia, untesto costituzionale incom-pleto, una disciplina sul co-siddetto stato di emergenza non univoca.

Ovvero?
Nel nostro testo costituzionale lo stato di emergenza è definito solo all’articolo 77 - che riguarda il decreto legge come fonte normativa - e all’articolo 78 sui poteri del governo in caso di guerra, oltre che nell’articolo 120. Sono gli unici elementi chiave che abbiamoper gestirele emergenze e sono stati in gran parte elusidalle scelte del governo, chenei fatti, per lo più, si è affidato ai Dpcm.

Con quali conseguenze?
Essendo una fonte di grado secondario, rispetto al decreto legge che è una fonte di gradoprimario, ha contribuito a rendere più flessibili sul territorio le scelte delle singole Regioni, le quali si sono sentite autorizzate a provvedere con ordinanze dei presidenti, alle quali poi hanno fatto seguito quelle dei sindaci, a integrare sempre di più il contenuto della normativa nazionale. D’altronde la tutela della salute è materia concorrente tra Stato e Regioni, quindi c’è un favor del legislatore solo se le misure prese servono a tutelare meglio la salute dei cittadini.

Dunque una scelta poco oculata del premier?
Non direi proprio così, ho rispetto per il suo ruolo e per le difficoltà che ha incontrato. Di certo, però, il Dpcm è uno strumento più rapido, perché non ha bisogno del controllo del Parlamento né del capo dello Stato. E consente di intervenire convocare il Consiglio dei ministri. C’è stato un eccesso nel suo utilizzo, senza dubbio.

Solitamente quando vi si ricorre?
I Dpcm sono atti che servono per lo più per funzioni di coordinamento, ma non per costruire un vero e proprio "diritto dell’emergenza". Anche per non ingenerare confusioni tra i cittadini, come dimostrano il gran numero di multe fatte durante i controlli.

La Conferenza Stato-Regioni non aiuterebbe a rendere piùorganiche le decisioni?
Se fosse in Costituzione sarebbe utilissima, ma anche questa è in una legge ordinaria. Certo, se non si può avereil "Senato dei Territori" in Co-stituzione, che si introduca da un lato la Conferenza Stato-Regioni, perché il dato di fon-do è che le Regioni faticano atrovare un discorso di unità nazionale e, dall’altro, una clausola di supremazia per lo Stato in queste situazioni. Per evitare, appunto, la possibilità di confusione.

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