lunedì 29 aprile 2013
«Non inizieremo dalla legge elettorale, per le riforme servono almeno 2 anni». Il neo-ministro spiega il ruolo di Napolitano per evitare un ritorno al voto e avverte: torneremo a parlare di forma dello Stato, forma di governo e quale bicameralismo. E rilancia la Convenzione: ne dovranno far parte parlamentari e non. (Marco Iasevoli)
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«Abbiamo vissuto gli ultimi tempi in preda ad una grande e letale tentazione: varare un governicchio per cambiare con il capo cosparsi di cenere gli aspetti del Porcellum di dubbia costituzionalità e poi tornare al voto. Sarebbe stata una sciagura e Napolitano ha combattuto come un leone perché non accadesse. Ora che al governo vi sono insieme i rappresentanti di Pd e PdL dobbiamo dirlo ad altra voce: non si cambia la storia cambiando solo la legge elettorale. Questo esecutivo ha e deve avere il respiro lungo e profondo di una riforma di sistema. Quanti anni? Almeno due, non di meno...». Gaetano Quagliariello ha atteso la chiamata ufficiale del Colle a casa sua. Il suo nome era una certezza in tutti gli scenari possibili. Eppure sino all’ultimo secondo ha avuto paura che Pd e Pdl rinnegassero il segno di pace che si erano scambiati. «E invece oggi possiamo finalmente riaprire le tre pagine che i padri costituenti avevano volontariamente lasciate incompiute per il contesto storico che ci vedeva usciti da poco da una dittatura: forma dello Stato, forma di governo, quale bicameralismo».Ministro, cerchiamo di tracciare una rotta chiara. La legislatura vedrà nascere il semipresidenzialismo?Il lavoro del gruppo di cui ho fatto parte con Violante, Onida e Mauro, che vorrei ringraziare perché ritengo che la mia nomina sia anche un riconoscimento della validità di quanto abbiamo fatto insieme, ha esaminato due modelli possibili, entrambi legittimi. Il semipresidenzialismo alla francese, con l’elezione diretta del capo dello Stato. E il premierato forte, con un presidente del Consiglio dotato di poteri molto più accentuati. Credo che il mio compito sia quello di consentire al Paese di scegliere, non quello d’imporre modelli.La sua preferenza per il semipresidenzialismo è nota...Sì e non la rinnego. Ma prima di cambiare la forma di governo c’è un lungo percorso da compiere. Primo step: istituire una cabina di regia con i capigruppo per cambiare i regolamenti parlamentari. Molte cose si possono fare prima ancora di passare alle modifiche costituzionali. Nella scorsa legislatura, su questo aspetto, con il collega Luigi Zanda abbiamo fatto un gran lavoro.Immaginiamo che il secondo step sia l’avvio delle riforme vere e proprie.Lo strumento che in commissione abbiamo considerato come più efficace è quello della Convenzione, della quale dovranno far parte parlamentari e non. È un modo per far sì che il tema delle riforme resti nell’alveo parlamentare ma al riparo dalle insidie e le tensioni della quotidianità politica. La commissione può diventare un raccordo tra il Parlamento e la società civile. Sulle grandi riforme di sistema dobbiamo coinvolgere il Paese, i giovani, le università. Diceva Vittorio De Caprariis: «Le istituzioni sono anche passione». Condivido: dobbiamo far capire che non si tratta di temi astratti e che il bene comune passa dal buon funzionamento del sistema. Non a caso, per coinvolgere di più i cittadini si è pensato di poter anche utilizzare lo strumento del referendum d’indirizzo.I tempi di questo percorso?L’iter per la nascita della Convenzione può partire subito: dipende dal Parlamento.L’altro tema caldo è la riforma elettorale.Su questo voglio essere molto netto. Partire da lì sarebbe un errore. Nella storia dell’Italia unita c’è una costante: pensare che la riforma della politica si possa fare attraverso la legge elettorale. Non a caso, si voleva abbattere il giolittismo introducendo la proporzionale: una legge con un premio di maggioranza ben inferiore a quello attuale fu chiamata nel ’53 "legge truffa". Per non dire della schizofrenia degli ultimi anni: quanti hanno detto che levando le preferenze si sarebbe moralizzato il sistema, oggi le vorrebbero reintrodurre… D’altro canto, ci eravamo illusi che il sistema elettorale vigente potesse consolidare il bipolarismo e creare un modello simile a quello inglese. Abbiamo visto come è andata a finire: le spalle dei sistemi elettorali sono troppo deboli per sopportare da sole il peso di tutto un sistema politico.Dunque?Dobbiamo avere l’ambizione di una grande riforma, di cui la legge elettorale deve essere l’ultimo stadio: come le intendenze di Napoleone, dovrà seguire…Lei parla anche di un intervento sulla forma di Stato: si riferisce ad una ripresa del federalismo?Si. Su questo punto non possiamo rimanere a metà del guado. La svolta federalista sembra la Costa Concordia davanti all’Isola del Giglio. Dobbiamo disincagliarla completando il percorso del federalismo fiscale che è uno strumento adeguato ad affrontare senza ulteriori aggravi fiscali la crisi provocata dal debito pubblico.Pare che il punto di riflessione più avanzato sia il superamento del bicameralismo perfetto con l’istituzione del Senato delle regioni e la riduzione del numero dei parlamentari...Nella relazione abbiamo dato solo una possibile indicazione: 480 deputati e 120 senatori "regionali". Quel che è certo, è che al tempo di Twitter approvare una legge dopo sette letture è uno schiaffo al buon senso...Di fronte ad un’opposizione che non farà sconti come quella di M5S, capace anche di creare mobilitazione sulla rete e sulle piazze, dovrete dimostrare di fare finalmente sul serio anche sui costi della politica.Per far bene non si deve concedere nulla alla demagogia. Parto da due premesse. Uno, la democrazia ha un costo. Due, bisogna essere consapevoli della crisi che vivono tanti cittadini ed eliminare sprechi e opacità. Il contributo pubblico non potrà venire del tutto meno, ma si potrà prevedere una incentivazione dell’autofinanziamento attraverso forti detrazioni fiscali, la fornitura di servizi in luogo dell’erogazione di denaro pubblico, e soprattutto molta più trasparenza.Lei è un politico, non è un tecnico. E non è stato estraneo alle dinamiche con cui il governo è nato... È una vera svolta?Dopo venti anni due avversari politici senza confondersi si riconoscono in una comune passione per l’Italia. La svolta ci sarà se questo porterà alla pacificazione nazionale. È questa la prima grande riforma. Il passaggio generazionale potrà facilitarla.Chi sono i padri di questo esecutivo, oltre Napolitano e Letta?Berlusconi, il leader che ha lottato per far uscire i moderati dal silenzio e dargli una vocazione maggioritaria. Con questo governo si è avverato quello che Berlusconi aveva compreso e auspicato fin dal primo giorno. Da avversario, una cosa la devo riconoscere anche a Massimo D’Alema: quel che dice non è mai banale specie quando si espone al rischio dell’impopolarità. Se il Pd l’avesse ascoltato 60 giorni fa il Paese avrebbe guadagnato tempo. Loro due avevano capito tutto la sera del 25 febbraio.
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