venerdì 14 marzo 2014
Il ministro del Lavoro, dopo l’avvio del Jobs Act di Renzi, chiarisce la portata della sfida. «Sono convinto che il Parlamento farà la sua parte».
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«Una cosa è certa: non sono le norme a produrre nuovi posti». Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, non si illude. È consapevole che il percorso con cui il governo Renzi punta a risolvere la drammatica emergenza occupazionale del Paese è soltanto all’inizio. «Però, con il pacchetto approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri, è partito l’iter di semplificazione che vuole creare condizioni chiare e favorevoli all’ingresso di chi oggi si ritrova a spasso», dice l’ex presidente di Legacoop. Il suo pensiero è rivolto «soprattutto ai giovani». Tanto che in queste ore Poletti sta spendendo quasi tutte le energie per imprimere un’accelerata alla Youth Guarantee, la Garanzia Giovani. L’avvio del piano Ue da 1,5 miliardi è slittato al 1° maggio. Ma i nodi con le Regioni in merito alla flessibilità nell’utilizzo delle risorse sono sul punto di essere sciolti. E dunque si conta di lanciare l’iniziativa tra fine marzo e inizio aprile.Ministro, intanto possiamo dire che con le "liberalizzazioni" dei contratti le aziende non avranno più alibi per rifiutarsi di investire in forza lavoro?D’ora in poi un imprenditore che è nelle possibilità di aumentare il personale della sua azienda potrà farlo in modo semplice, in piena tranquillità e senza aver paura di nulla. In un colpo solo abbiamo ridotto drasticamente sia gli adempimenti burocratici sia la possibilità di dar vita a contenziosi. Quest’ultimo elemento non è da sottovalutare perché nel recente passato è stato uno dei principali disincentivi alle assunzioni. I nuovi provvedimenti sono orientati alla massima flessibilità. In pratica la riforma Fornero è stata smantellata...Quella riforma non ha funzionato. Si è rivelata incoerente con i reali bisogni delle imprese e con le esigenze del mercato. Si pensava che l’apprendistato potesse essere il grande strumento per consentire ai giovani il primo ingresso in azienda. I dati ci dicono l’opposto: dal 2009 al 2013 la percentuale di nuovi contratti con quella formula è passata dal 13 al 10%. È stato un fallimento. Adesso, con i contratti a termine senza "stacchi" e con l’opportunità di restare in azienda per 36 mesi consecutivi, ci saranno maggiori opportunità di essere assunti rispetto al recente passato.Avete diminuito i vincoli sulle proroghe dei contratti ed eliminato la necessità di apporre causali. Non le sembra una filosofia opposta a quella renziana del contratto unico a tutele progressive?Non direi proprio. E poi l’idea del contratto unico non prevede alcun obbligo di stabilizzazione, perché il titolare dell’impresa può decidere dopo sei mesi, un anno o un periodo ancora più lungo, di pagare quanto spetta al dipendente in base alla "tutela" e non assumerlo a tempo indeterminato. Comunque sull’argomento bisogna fare una valutazione approfondita, senza innamorarsi della formula «contratto unico», ma badando alla sostanza. In Italia abbiamo settori che prevedono un alto tasso di contratti a chiamata o stagionali e non possiamo ignorare questo aspetto. L’obiettivo, piuttosto, deve essere quello di costruire percorsi di accesso semplici e attivare meccanismi che tutelino nel tempo il lavoro. Se alla fine avremo un contratto, due, o cinque, non ci cambierà mica la vita.La seconda parte del Jobs Act prevede un disegno di legge delega che passerà dal Parlamento. Cosa si aspetta dall’iter delle Camere? Un forte rallentamento potrebbe essere dietro l’angolo...Non esiste l’idea di rallentare o fermare un’operazione che viene invocata a gran voce dal Paese. Abbiamo chiesto sei mesi per attuare la delega. Ci siamo imposti tempi strettissimi. Ci deve essere coerenza tra le scelte del governo e della maggioranza. Finora abbiamo raccolto giudizi positivi, quindi sono convinto che il Parlamento farà il suo mestiere, analizzerà le linee contenute nel testo e magari proverà a migliorarle. Ma noi staremo dentro questo dibattito.Sul sussidio universale si può ipotizzare una cifra?È troppo presto per parlare di somme. La logica è quella di un sussidio graduale, in base alla lunghezza del periodo di tempo in cui la persona è stata occupata. Poi c’è una questione di ordine sociale che riguarda chi è senza alcuna tutela e vive in famiglie con un reddito Isee al di sotto di una certa soglia: tutta la comunità dovrà porsi il problema di quanto necessitano questi cittadini per vivere.Lei ha annunciato che manca un miliardo per la cig in deroga 2014 rispetto allo scorso anno. Dove troverete le risorse?Ancora non lo sappiamo, finora stiamo utilizzando risorse che erano già state deliberate. Una soluzione, però, dobbiamo trovarla per forza perché altrimenti dovremo sospendere la cassa. E ciò non è previsto da nessuna parte. Ho denunciato un fatto noto affinché governo e Parlamento tengano ben presente che va assolutamente trovato un modo per finanziare la cig per la quota al momento mancante.
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