mercoledì 19 novembre 2014
​​La portavoce dell'Acnur Carlotta Sami: interrotto un percorso avviato, ora il Comune intervenga. (IL VIDEO di Pino Cicociola)
Rissa nel centro per immigrati Infernetto
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«Sono ragazzi rifugiati: hanno diritto a essere protetti nel nostro Paese e invece adesso al Centro c’è grande paura. Tutto quanto è accaduto lascia solo molto amaro in bocca. La situazione non è bella». C’è un gran sole stamane a Tor Sapienza e Carlotta Sami, Portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), sta venendo qui già da qualche giorno – da sola e senza riflettori – per incontrare e parlare con la gente di viale Giorgio Morandi, con le associazioni e con gli stessi ragazzi del Centro che accoglieva minori e adulti rifugiati, cioè il teatro degli scontri della scorsa  settimana. È preoccupata. «È stato chiaro e viene fuori proprio parlando con la gente – dice – che i ragazzi del Centro sono diventati evidentemente il capro espiatorio di un disagio che va conosciuto, interpretato e al quale bisogna dare soluzioni». Camminiamo. Via Morandi è ancora blindata. Nella capitale «i rifugiati sono circa duemilaquattrocento e parliamo di una città che ha oltre tre milioni di persone», sottolinea lei: «Mi pare che chiaramente la proporzione non sia... altissima». Allora è «urgente che il Comune e tutte le forze in campo intervengano e diano una linea strategica, chiara, a ciò che significa garantire il diritto all’accoglienza». Non dimentica che questo quartiere è una polveriera, che la gente da queste parti, già socialmente difficili di loro, è esasperata da criminalità, droga, prostituzione.  «È chiaro che esistano problemi in determinate aree della città», spiega, «ma i problemi non potevano derivare da qualche decina di minorenni ospitati in questo Centro in un quartiere dove vivono migliaia di persone». E soprattutto la soluzione a problemi e disagi «non può essere portare violenza nei confronti dei rifugiati e far sì che debbano essere portati via per la loro incolumità. Addirittura venerdì scorso uno di loro, diciassettenne, ha avuto un infarto a causa dello stress...». La Portavoce dell’Acnur racconta d’aver incontrato chi le ha detto «non è colpa di quei ragazzi» o «è anche colpa loro, ma devono andarsene, li devono portare sull’autostrada Roma-L’Aquila ». E chi le ha spiegato che «ogni quindici giorni portiamo quarantacinque pacchi viveri a chi ha più bisogno e vive in questi palazzi di Tor Sapienza». Lei prende appunti, segna quanto ascolta, anche le date e gli orari delle prossime riunioni delle associazioni di quartiere. «La situazione dei rifugiati a Roma non è certo così critica, ve ne sono di assai più difficili – continua –. Lo ripeto, è urgente che il Comune intervenga. L’integrazione non si può imporre, però pensiamo che ad esempio i percorsi che i ragazzi del Centro qui a Tor Sapienza avevano intrapreso sono stati interrotti».  Lei assicura che continuerà a venire qui: «Quando ho visto il Centro di accoglienza protetto da una trentina di agenti ho provato un’amarezza profonda», ricorda. «Ma com’è possibile che il mio Paese non riesca ad assicurare una vita sicura e tranquilla a qualche decina di ragazzi scappati da guerre e violenze?». Soprattutto non ha perso alcuna speranza, anzi. Ha appena passato due ore con altri abitanti a una riunione: «Un professore di filosofia ottantaduenne, una volontaria che vive qui da trent’anni, una madre di cinque figli, altri volontari». E «ne esce un panorama completamente diverso: non ho letto da nessuna parte ciò che ho ascoltato. Venticinque associazioni che lavorano in rete, una conoscenza profonda del territorio».
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