lunedì 31 maggio 2010
L'aula del Senato ha iniziato ad affrontare il disegno di legge sulle intercettazioni, ma è già scontro all'interno della stessa maggioranza di centrodestra, divisa all'appuntamento, con il presidente dell'altro ramo del Parlamento Gianfranco Fini che già ipotizza ulteriori modifiche quando il provvedimento tornerà a Montecitorio.
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È scontro istituzionale tra i vertici delle due Camere sulla vicenda delle intercettazioni. Il presidente della Camera Gianfranco Fini, infatti, ha detto chiaro e tondo che sul testo di legge, così come sta prendendo corpo al Senato, ha «dei dubbi», rivendicando il diritto dei deputati a cambiarlo: «Bisognava intervenire, c’è stato un abuso dello strumento, ma serve il fioretto, non la scimitarra». Dopo qualche ora, il presidente del Senato Renato Schifani, visibilmente contrariato, è sceso nel Salone Garibaldi (il "Transatlantico" di Palazzo Madama), per far conoscere ai giornalisti il suo pensiero in proposito, tirando una doppia bordata al dirimpettaio di Montecitorio: «Da quando sono presidente – ha detto – non mi sono mai occupato di dare valutazioni politiche sul merito di argomenti all’esame di questo ramo del Parlamento». E ha aggiunto, in un crescendo accusatorio: «Men che mai mi sognerei di dare giudizi politici o di merito su argomenti all’esame dell’altro ramo del Parlamento». Per concludere: «Il ruolo del presidente è quello di essere garante delle regole e dei diritti della maggioranza e dell’opposizione, con un dovere di terzietà». Poi si è allontanato senza rispondere alle altre domande dei cronisti. In aula, con il massimo di ufficialità, ha poi ribadito: «Nei miei anni passati da capogruppo ho dato il massimo sfogo. Da presidente del Senato invece voglio garantire il ruolo di terzietà».La lezione di bon ton costituzionale, non è però piaciuta al destinatario, benché Schifani non l’avesse mai nominato. E così Fini l’ha rinviata al mittente con un tono piuttosto aspro: «Ho rispetto totale per l’autonomia del Senato. Il presidente Schifani non può però fingere di non sapere che prima di presiedere la Camera ho contribuito a fondare il Pdl, di cui anch’egli è espressione». E, infine, una dichiarazione di intenti: «Sulle questioni relative alla legalità e all’unità nazionale non ho intenzione di desistere dallo svolgere un ruolo politico». Lo scontro avvenuto ieri ai vertici parlamentari è senza precedenti e declassa a punture di spillo le storiche rivalità che nel passato hanno sempre accompagnato la "coabitazione" tra i presidenti delle Camere. Mentre, a livello politico, sancisce la rottura della debole tregua siglata nel Pdl. In campo sono scese le opposte tifoserie, con toni piuttosto clamorosi. Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo al Senato, ha praticamente chiesto le dimissioni di Fini, che «ha tutti gli strumenti per superare il conflitto d’interessi che deriva dal suo doppio ruolo di presidente della Camera e capo di una minoranza interna al Pdl». Mentre il ministro Sandro Bondi, ha chiosato: «Mi chiedo, non se sia corretto ma se sia utile e ragionevole che il presidente della Camera esprima un giudizio politico nel merito di un provvedimento, nel mentre lo si sta discutendo nell’,aula del Senato». D’accordo la Lega, che con il capogruppo al Senato Bricolo definisce «corretto» l’intervento di Schifani. Dall’altra parte della barricata, il vicepresidente della Commissione Antimafia Fabio Granata, replica con sarcasmo a Quagliariello («Sono d’accordo, anzi affrontiamo tutti i conflitti d’interesse»). E scende nell’agone anche il Secolo, per avvertire che «Fini è stato eletto alla Camera anche per il ruolo politico che ha svolto e al quale non ha nessuna intenzione di abdicare, soprattutto su questioni che riguardano la legalità e l’unità nazionale». Questioni che rischiano di essere esplosive per governo e maggioranza.
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