sabato 22 maggio 2010
Critico il sottosegretario Breuer, che poi precisa:non volevo entrare negli affari interni dell’Italia. Nel Pdl si ipotizza un maxiemendamento al ddl. Ma non è escluso il ricorso al voto di fiducia. Alfano minimizza: «Con Washington piena intesa e amicizia. Nessun limite a indagini».
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Le intercettazioni «sono strumenti essenziali per le indagini, non vorremmo mai che succedesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di fare l’ottimo lavoro svolto finora». Stavolta non è l’Associazione magistrati a parlare, bensì Lanny Breuer, sottosegretario Usa al Dipartimento di Giustizia con delega alla criminalità organizzata che ieri, nel corso di una conferenza stampa all’ambasciata americana, ha detto la sua sulla riforma delle intercettazioni in cantiere al Senato. Un intervento davvero irrituale, soprattutto se si pensa alla recente reazione irritata del segretario di Stato americano Hillary Clinton per una frase di Guido Bertolaso a proposito dei soccorsi americani dopo il terremoto di Haiti. Più tardi, visto l’impatto avuto dalla sua dichiarazione, Breuer ha precisato che non intendeva «entrare nel merito di decisioni politiche o giudiziarie riguardanti l’Italia».Il governo di Roma ha atteso la rettifica, poi si è fatto sentire con una nota in cui il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha confermato «le relazioni fruttuose, intense e improntate alla massima amicizia e collaborazione» tra le magistrature e le polizie «italiane e statunitensi». Il guardasigilli ha quindi difeso una volta di più la "sua" riforma, ripetendo che «non è stata introdotta alcuna limitazione» all’uso delle intercettazioni, tanto meno per i reati di mafia e di terrorismo. E che sarà salvaguardato sia il diritto alla privacy di tutti, sia «il diritto a un’informazione ufficiale e trasparente», ma «non il diritto all’acquisizione e divulgazione illecita di atti riservati».Tuttavia, per Palazzo Chigi, le parole del sottosegretario americano sono un ulteriore campanello d’allarme sul testo al vaglio della commissione Giustizia del Senato, che si va ad aggiungere alle perplessità del Quirinale e a quelle, interne alla maggioranza, dei finiani. Senza contare che la Federazione della stampa è pronta allo sciopero, affiancata dalla Federazione degli editori che teme le maxi-multe (fino a 464.700 euro) previste per la pubblicazione non solo di intercettazioni, ma anche di semplici notizie su atti d’indagine. L’Ordine dei giornalisti ha annunciato che, se le norme più contestate diventassero legge, ricorrerà «in ogni sede per garantire ai cittadini il diritto di essere informati».Insomma, un assedio. Di fronte al quale Berlusconi, obtorto collo, potrebbe fare alcune concessioni, che dovrebbero essere condensate in un maxi-emendamento al ddl da depositare nelle prossime ore. Non a caso, ieri mattina, il capo del governo ha ricevuto a Palazzo Grazioli il relatore del provvedimento Roberto Centaro. Il quale però ha escluso l’ipotesi di cambiamenti sostanziali, avvalorando perfino la possibilità di ricorrere «a voti di fiducia sia al Senato sia alla Camera». Con il premier, ha raccontato Centaro, «abbiamo fatto solo il punto sull’intera vicenda, sui media si stanno diffondendo notizie false, visto che la stampa potrà continuare a seguire i procedimenti penali e le condanne per i giornalisti sono una semplice oblazione».Non la pensano così le opposizioni. «Quando la ragione cede, prevale la forza», ha dichiarato la capogruppo del Pd in Senato Anna Finocchiaro commentando le parole del relatore. È la linea che, nella sua relazione all’assemblea nazionale del partito, ha sintetizzato il segretario Pier Luigi Bersani: «Di fronte a norme del genere è doverosa ogni pratica ostruzionistica».L’Italia dei valori, da parte sua, è passata alle vie di fatto e ha aderito al sit-in di protesta che si è tenuto ieri davanti a Montecitorio con la partecipazioni di diverse associazioni e di partiti della sinistra radicale. Lunedì sera, alle 21.30, la commissione di Palazzo Madama riprende l’esame del ddl. E sarà una lunga notte.
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