sabato 18 agosto 2012
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Il tema delle intercettazioni entra, in pieno agosto, nell’agenda Monti. Il premier definisce «grave» il caso delle telefonate del Capo dello Stato intercettate dalla procura palermitana. «È peraltro evidente a tutti - aggiunge Monti - che sulle intercettazioni si sono verificati e si verificano abusi», per cui - ecco l’avvertimento: «è compito del governo prendere iniziative a riguardo», avverte in un’intervista al settimanale Tempi.Parole che tengono conto della crescente preoccupazione del Quirinale per un corto circuito politico-mediatico che avvelena il dibattito politico e rischia di ledere anche le prerogative delle istituzioni più alte. Giorgio Napolitano, d’altronde, non aveva mancato di notare un mese fa - al momento dello scoppio del caso nell’ambito della inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia - che la riforma delle intercettazioni «è una questione da tempo all’esame del Parlamento, che meritava già di essere risolta sulla base di un’intesa la più larga possibile». Ora, dunque, il premier - di fronte al muro contro muro dei partiti - si fa carico anche di questa problematica sulla quale il Colle, era già intervenuto, nel 2010, per segnalare "aspetti critici" di riforma targata Pdl che si andava configurando.Non perde l’occasione Antonio Di Pietro, che replica senza freni, definendo «inaccettabili» le parole di Monti e ribadendo la totale inopportunità non solo del conflitto di attribuzione sollevato dal Capo dello Stato, in relazione ad una materia così delicata, ma anche dell’intervento preannunciato da Monti, volto - sostiene - a fermare le indagini della magistratura e a delegittimare il suo operato». Mentre il capogruppo al Senato Felice Belisario arriva a dare a Monti del «Caudillo». Ma al di là delle scontate reazioni dell’ala più giustizialista dell’opposizione, anche l’anomala maggioranza appare colta di sorpresa. Nel Pdl Gaetano Quagliariello aveva parlato ancora prima che l’intervista del premier fosse resa pubblica di una riforma divenuta «impellente» dopo il «dramma» di questa estate. Ma una volta rilanciate le affermazioni di Monti toccava a Enrico Costa, capogruppo Pdl in commissione Giustizia alla Camera e relatore del ddl intercettazioni, prendere in parola Monti: «Se c’è la volontà politica basta un mese per avere una buona legge sulle intercettazioni», dice.Ma nel Pd serpeggia molta diffidenza. Prova a a rompere gli indugi Stefano Ceccanti che ricorda come «un limite alle intercettazioni era nel programma del Pd. Non si tratta - spiega - di mettere un bavaglio alla stampa, ma di stabilire una responsabilità per chi fa uscire conversazioni che non debbono uscire». Nel Pd fa discutere anche un intervento del presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelsky. Ceccanti, da costituzionalista, lo smentisce su Twitter: «Senza conflitto c’è udienza e intercettazioni illegittime diventano pubbliche», scrive nella stringatezza del mezzo. Cioè: il Quirinale non aveva altra strada se voleva evitare un surrettizio aggiramento del divieto di divulgazione di conversazioni che lo riguardano. Mentre Franco Monaco si schiera sul lato opposto: «Meglio Zagrebelsky di Monti», dice. Nel Pd c’è il diffuso timore che il premier possa cedere al pressing che il Pdl fa sul tema, e in tanti - senza dirlo - considerano le posizioni inconciliabili, in tempi così ristretti.Tocca all’Udc avanzare una proposta di mediazione: «Le parole di Monti dovrebbero essere accolte con attenzione e senza pregiudizi da tutti», auspica Roberto Rao, capogruppo in commissione giustizia alla Camera. Che propone di ripartire dalla bozza Bongiorno. «La soluzione della discovery, che indica un termine oltre il quale le conversazioni, per decisione del giudice, vanno distrutte è quella giusta. Dopo tanti sterili dibattiti non possiamo perdere quest’occasione storica per intervenire su un tema che, tutti ormai ne sono consapevoli, va regolamentata, senza intenti punitivi né contro la stampa, né contro i magistrati».
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