lunedì 11 novembre 2013
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Spesso conosciuti poco e male, e liquidati con il nome dispregiativo di "zingari". Ma quella tzigana è una vera e propria cultura, e i rom in Italia sono una realtà diffusa e variegata, che soffre dell'essere etichettata.Prova a rimettere le cose a posto e superare i luoghi comuni  una campagna internazionale lanciata oggi dalla Federazione Nazionale della Stampa e realizzata dalla ong Ricerca e Cooperazione, in collaborazione con diverse associazioni che operano sul campo.

"RomaIdentity - Il mio nome è rom" racconta la cultura degli oltre 12 milioni di rom e sinti che vivono in Europa (in Italia sono 150mila). L'iniziativa è parte del progetto "Conflitti, mass media e diritti" cofinanziato dall'Unione Europea e si rivolge principalmente a studenti, cittadini, associazioni rom e soprattutto agli operatori dell'informazione, affinché possano contribuire ad aumentare la conoscenza di questo popolo favorendo l'accoglienza e l'integrazione. Accade di frequente infatti che siano proprio i mass media a diffondere i pregiudizi che accompagnano i rom, alimentando le paure dei cittadini. Se si considera che questo popolo rappresenta la più grande minoranza etnica d'Europa, appare evidente quanto la conoscenza e la corretta informazione siano di primaria importanza per la costruzione di un dialogo tra loro e i gagè, ossia i "non rom".La campagna di concentra sulla raccolta di dati sul campo, sull'informazione e sulla formazione di continua, attraverso seminari, corsi, dibattiti e una costante attività nelle scuole con il coinvolgimento di esperti, studiosi, Rom (soprattutto giovani) e giornalisti. Molto forti le parole di Moni Ovadia, autore e protagonista dello spettacolo "Senza Confini - Ebrei e Zingari", in scena questa sera al Teatro Vittoria di Roma per sostenere RomaIdentity: "C'è molta ipocrisia quando si affronta il tema dei rom. Il tasso di razzismo è altissimo: le violenze vanno contrastate come la peste. C'è un nome per i campi nomadi: è lager. Mi vengono i brividi lungo la schiena quando i politici fanno i carini con gli ebrei. È un modo per discriminare i rom, è una nuova forma di antisemitismo. Io, che sono nato in un contesto ebraico, mi sento come un rom: la parola sgombero, tanto usata oggi, in guerra diventerebbe deportazione. Non abbiamo più tempo: ai fatti è ora che seguano le parole". 

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