domenica 3 luglio 2016
​Mbemba e Noha, ventenni, raccontano la loro storia: l'incontro a bordo, la paura e ora l'accoglienza in Italia.
Dal Gambia alla Puglia: vogliamo vivere qui
COMMENTA E CONDIVIDI
Mbemba Phatiy e Noha Jerirju hanno in comune tre cose: il Paese di provenienza, il Gambia, un viaggio lunghissimo che li ha fatti arrivare in Italia e soprattutto l’incontro a bordo di un barcone, nel luglio del 2014. Mbemba ha 20 anni, Noha 26 e si sono conosciuti proprio sul gommone che li portava in Italia a fine luglio del 2014. Oggi che sono approdati in Puglia, raccontano così la loro traversata. «Siamo saliti a bordo in 91, tutti giovani tra i 16 e 25 anni – dicono ancora con un filo di emozione –. Allo scafista abbiamo pagato circa duemila dinari a testa (1.200 euro, ndr) per ognuno di noi i soldi di tanti sacrifici. Il viaggio è durato due giorni. Vedevamo l’alba e il tramonto, prima che arrivasse la notte buia, fitta. Eravamo circondati da quel mare immenso che faceva paura. Stipati come sardine ci guardavamo negli occhi chiedendoci se ce l’avremmo fatta. Non c’era luce a bordo» ricordano oggi. Poi proseguono e rivelano di esser rimasti stupiti «dall’abilità del traghettatore, che usava una grande bussola tecnologica per individuare la rotta giusta, anche durante le navigazione notturna. Per fortuna ci mise a disposizione acqua e un po’ di cibo». Oltre 48 ore vissute nel periglioso mare in cerca della terra promessa. «All’alba del primo agosto sbarcammo nel porto di Taranto». Da marzo sono ospitati, insieme ad altri 130 migranti africani tra cui donne e ragazze arrivati ad inizio aprile, nel nuovo centro profughi di Bitonto, in provincia di Bari, diventato nel 2010 importante polo socio-educativoassistenziale per minori, giovani donne in stato di disagio, nuclei familiari. Mbemba e Noha hanno lasciato la loro terra, il Gambia, perché c’era poco da mangiare e il lavoro scarseggiava. Il racconto del loro viaggio ha un valore simbolico, perché li accomuna a centinaia di migliaia di persone unite dal mare e dalla paura, ma dice anche che una vita migliore è possibile, spesso grazie a un incontro come quello che li ha visti protagonisti.  «Vivevo in Gambia con i miei genitori e mio fratello vicino alla capitale Banjul – racconta Mbemba –. Ho studiato fino a 14 anni, imparando alcune tecniche di disegno artistico. Però non era facile trovare un’occupazione. Così decisi di partire per la Libia insieme al mio amico Suleman. Abbiamo preso un pullman per affrontare un lungo viaggio. Ci sono voluti due mesi per arrivare a Tripoli. Abbiamo attraversato Senegal, Mali, Burkina Faso, Nigeria trascorrendo intere giornate nel deserto tra insidie e dune sabbiose». Un percorso davvero infinito, tremendo e faticoso. Alla fine però è sembrato loro di toccare le sponde dell’eldorado. Gli fa eco Noha: «In Gambia mi arrangiavo facendo l’autista ma guadagnavo pochi soldi. Io a Tripoli ci sono stato un anno lavorando come meccanico. Ma lo scoppio della guerra mi ha costretto alla fuga». A Bitonto per loro è ricominciata un’altra vita, non senza qualche incertezza per il futuro. «Stiamo conoscendo una nuova realtà – sorride Mbemba –. Gli operatori che ci assistono sono bravi e disponibili. Seguiamo lezioni d’italiano e in alcuni casi anche corsi di formazione. Io voglio vivere in Italia, in Gambia non ci voglio tornare. Spero di trovare un lavoro, potrei fare il muratore o il contadino. Però, sogno di giocare a calcio in qualche squadra di qui. Me la cavo bene. I miei idoli sono Pogba e Morata ». Quanto al futuro dentro la comunità italiana, dicono di «non voler essere di peso per nessuno. Il nostro desiderio è di poterci integrare, di fare una vita normale. Anche se sono musulmano, mi hanno colpito le parole di papa Francesco che chiede a tutti di aprire le porte del cuore per accogliere e aiutare gli stranieri che non hanno dimora e che fuggono dalla miseria, dalla guerra. In fondo noi chiediamo solo questo».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: