martedì 29 maggio 2018
Dopo la vicenda di Alfie, l'ospedale pediatrico Bambino Gesù ha messo a punto un decalogo dei diritti del bambino inguaribile
Inguaribili ma curabili. Una carta dei diritti per i bambini malati
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Un mese è già trascorso dalla morte di Alfie Evans, il bambino di Liverpool affetto da una malattia rimasta ignota cui medici e giudici inglesi hanno negato l’elementare diritto umano di poter morire per la sua patologia e non per una sentenza. Il suo drammatico caso, nove mesi dopo quello simile di Charlie Gard, ha disseminato le coscienze di interrogativi. A voler cogliere la lezione di quella vicenda pensa ora l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che per impulso della sua presidente Mariella Enoc ha messo mano a un decalogo di «diritti del bambino inguaribile» nella certezza che l’assenza di una terapia risolutiva non possa mai equivalere a un giudizio di incurabilità. È attorno a questa convinzione – e per attrezzare una via etica e clinica per non restare prigionieri di casi futuri – che è nato anche il seminario scientifico organizzato ieri a Roma nella sede dell’ospedale al Gianicolo attorno alle questioni aperte dal modo in cui prima Charlie e poi Alfie sono stati portati a morte proprio da chi avrebbe dovuto tutelarli.

«Quello che proponiamo è un percorso aperto a chi crede come noi nel dovere della cura anche oltre la speranza di una guarigione – spiega la presidente –. Qui lavoriamo per testimoniare che lo 'scarto' denunciato dal Papa si argina anche accogliendo da tutto il mondo piccoli pazienti come Alfie, che altrove non si curano anche per una scelta di risorse, e insistendo sulla ricerca di assoluta avanguardia». Diventa così un avamposto anche questo ospedale romano che brulica di umanità tutt'attorno all'aula dove medici, bioeticisti, politici e giuristi si confrontano sui 'diritti di tutti gli Alfie del mondo'. Affacciati al suo osservatorio, si scorge l’impegno che ci attende: saper vedere in ogni paziente una persona sulla quale non dev'essere più ammessa una sentenza come quella della Corte suprema inglese che con termini da distopia orwelliana ha legittimato la sottrazione del bambino di Liverpool alle cure dei genitori considerando questo il suo 'miglior interesse'.

Ecco il primo riferimento divelto un mese fa oltremanica: quella «alleanza terapeutica tra medici e famiglia senza la quale si apre la porta alla decisione sulla vita per sentenza – dice il presidente della Pontificia Accademia per la Vita monsignor Vincenzo Paglia –. Ma arrivati a quel punto tutti hanno perso». Un monito su possibili soluzioni analoghe dietro l’angolo, che per il magistrato esperto di diritto minorile Giuseppe Magno «sono inevitabili per chi considera il paziente senza speranza di migliorare privo del diritto di ricevere cure». È uno stato di abbandono che minaccia non solo i bambini malati gravi ma anche gli anziani e i disabili. Chi come il Parlamento europeo dovrebbe restare riunito finché non trova una soluzione che scongiuri questo orrore pare invece «non aver colto ancora a sufficienza l’importanza della sfida», riferisce l’eurodeputata Silvia Costa, che si è molto spesa per salvare Alfie. E con l’espansione in corso di opinioni euro- allergiche è inevitabile che «si ridimensioni il perimetro di intervento dell’Europa», nota allarmato il presidente dell’Istituto studi di politica internazionale Giampietro Massolo, per il quale la conseguenza è «il ruolo crescente degli Stati in materie come questa». Il sistema di autorità sovranazionali riuscirà solo con crescente fatica a far sentire la propria voce rispetto «a Paesi con approcci anche molto diversi dal nostro, penso a Olanda, Belgio o lo stesso Regno Unito», osserva Daniele de Luca, primario all’Ospedale pediatrico «Beclere» di Parigi.

Un federalismo etico e sanitario rispetto al quale la Carta proposta dall'ospedale del Papa va in controtendenza, espressione di una «volontà di ascolto – secondo il suo primario di Emergenza, Nicola Pirozzi – che ci fa chiedere agli stessi bambini quali diritti chiedono». Ecco nei loro disegni la richiesta semplice di avere «un nome, una famiglia e una casa», o il «diritto all'amore» e a una cura che per i piccoli ricoverati «è sempre parte di una relazione affettiva ». «Ma la gente grazie ad Alfie si è svegliata, sa ancora riconoscere il valore della vita – testimonia monsignor Cavina, vescovo di Carpi e trait d’union tra la famiglia e il Papa – e ora va tenuta desta». E per la gente i 'casi' dei media sono bambini, con nomi, storie e famiglie. Le stesse alle quali invita a pensare don Luigi Zucaro, responsabile dell’etica clinica al Bambino Gesù. È a partire da ciascuno di loro che lavora Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale, che trova «incomprensibile che questioni di stretta competenza medica vengano decise in tribunale». Ma a questo si arriva inevitabilmente se «si smette di accogliere chi viene da fuori e ha bisogno delle nostre cure – come denuncia Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti –. È doveroso continuare a farlo se non vogliamo perdere il nostro sguardo sul futuro».

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