venerdì 20 novembre 2020
Rapporto "I non luoghi dell'informazione" dell'Osservatorio di Pavia: la pandemia ha portato più povertà e volontariato in tv, ma in prima serata per guerre e carestie solo lo 0,4% dei servizi
Un bambino porta una tanica da 20 litri di acqua sporca raccolta in un torrente nel fondovalle nel distretto di Gatsibo, in Ruanda

Un bambino porta una tanica da 20 litri di acqua sporca raccolta in un torrente nel fondovalle nel distretto di Gatsibo, in Ruanda - Focsiv- Foto Alessandro Rocca

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Quello che non passa nei telegiornali o sui quotidiani rischia di sparire anche dalle agende della politica. Un'informazione di qualità e di servizio, dunque, non può permettersi di spegnere i riflettori sulle periferie, geografiche o umane. La realtà però è che lo spazio per i temi dell'emarginazione e degli squilibri socio-economici del Mondo è ancora largamente insufficiente. Lo dicono i dati raccolti dall'Osservatorio di Pavia, nel monitoraggio da gennaio a settembre 2020 sui social, oltre che sui tg, nazionali e regionali.

È quello che emerge dal III Rapporto Illuminare le periferie. I non luoghi dell'informazione. Periferie geografiche e umane nei media, promosso da Cospe, onlus che fa cooperazione allo sviluppo, i sindacati dei giornalisti Usigrai e Fnsi col contributo dell'Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e, da quest'anno, anche dell'Impresa Sociale “Con i Bambini”. Due i campi di indagine: il contesto italiano dell'informazione (nazionale e regionale) e quello estero, con uno sguardo ai paesi e alle questioni “marginali” come siccità, carestie, conflitti endemici.

Significativo il luogo scelto per la presentazione della ricerca, cioè il museo laboratorio d'arte di Tor Bella Monaca, struttura promossa e gestita della Comunità di Sant'Egidio nella periferia sud-orientale della Capitale. «Un luogo di cultura e incontro – spiega la responsabile del laboratorio Maria Carosio – che offre a questo quartiere un'alternativa bella e attrattiva per chi è ai margini, come i disabili che attraverso l'arte riescono a esprimersi».

Dalla ricerca emerge che il primo tema dei Tg è la crisi economica provocata dalla pandemia: è il 53% dei telegiornali nazionali e il 46% di quelli regionali. Seguono le politiche di contrasto della povertà, nel 18% dei servizi dei Tg nazionali. Il terzo filone è quello del volontariato, trascinato evidentemente da crisi economica e povertà: è il 15% dei Tg nazionali. Ma è secondo col 33% nei notiziari locali.

Molto più problematica la comunicazione sulle periferie umane e geografiche estere in prima serata, relegate allo 0,4% dei servizi, quest'anno ancora meno presenti del solito, spiega Antonio Nizzoli, uno dei curatori. Gli esteri sono poco raccontati, a meno di eventi di grande presa come le proteste in America, a Hong Kong oppure il terremoto in Albania. Temi esteri dunque che la pandemia globale ha reso ancora più invisibili.

L'Osservatorio di Pavia sottolinea differenze nelle linee editoriali dei telegiornali: quelli Mediaset dedicano a guerre, conflitti e politica internazionale metà dello spazio dei servizi di Rai e La7. Mentre costume, società e spettacolo hanno nei Tg Mediaset il doppio dei servizi di Rai e La7. Per Paola Barretta dell'Osservatorio di Pavia dunque «i contesti che non sono visibili nell'informazione rischiano di non essere presi in considerazione nelle politiche. Sulla mediazione giornalistica si gioca il nostro futuro, ma nei contesti periferici ci deve andare chi ha le competenze per raccontarli».

Marco Rossi Doria, vicepresidente dell'Impresa sociale “Con i bambini”, sottolinea l'importanza di parlare della povertà educativa e del rischio di dispersione scolastica: «Abbiamo avuto 9 milioni di bambini chiusi in casa come non era successo a nessuna generazione precedente, un fallimento dell'impresa educativa». Emilio Ciarlo, responsabile della comunicazione di Aics, denuncia la «criminalizzazione dei ragazzi, accusati di essere i responsabili della pandemia» assieme al messaggio che «andare a scuola non è importante ma pericoloso».

Per Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, «con la pandemia abbiamo scoperto che non regge più la distinzione tra centro e periferie. Tutti possiamo essere vulnerabili, ovunque». E sottolinea l'importanza di «una comunicazione che parta dalla periferia, perché in questo modo tocca i problemi e tocca la realtà».
Dichiarazioni di impegno da Giovanni Parapini, direttore di Rai per il sociale: «Dobbiamo tentare di far cambiare il paradigma dell'informazione e portare le telecamere a riprendere una realtà scomoda in tutti i sensi, da vedere come da vivere. Ci impegniamo a illuminare luoghi come Tor Bella Monaca».

Concorda Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi). «Illuminare le periferie – dice – non è una scelta di bontà, raccontare bene è lavorare per la sicurezza di tutti». Da Vittorio Di Trapani, segretario dell'Usigrai, la richiesta all'azienda pubblica di una sede di corrispondenza in America Latina: «Anni fa la Rai aprì una sede a Nairobi per l'Africa, dopo una mobilitazione della società civile. È scandaloso che non ne abbiamo una in Sud-America».

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