giovedì 30 aprile 2020
Dalla Federazione nazionale un "manifesto" di impegni presi con i malati da chi li cura e li accompagna. In 11 punti l'esperienza di migliaia di professionisti nei reparti Covid durante l'emergenza
Un'infermiera in un reparto pediatrico per piccoli pazienti affetti da Covid-19

Un'infermiera in un reparto pediatrico per piccoli pazienti affetti da Covid-19 - Ansa

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Nell’emergenza della pandemia una delle figure che più spesso ha accompagnato i malati è quella degli infermieri, in situazioni in cui la peggiore angustia si è rivelata la solitudine dei pazienti nella sofferenza e nel fine vita. E a un anno dall’approvazione del Codice deontologico, che fu poi presentato a Caserta nel maggio 2019 al convegno di Pastorale della salute della Cei “Feriti dal dolore, toccati dalla grazia”, la categoria ha appena tratto dall’esperienza del Covid–19 un Manifesto deontologico in 11 punti, figlio delle riflessioni che gli infermieri hanno maturato in questo periodo. Ringraziati più volte, assieme ai medici, sono stati ricordati anche dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Camera: «Non ci dimenticheremo di voi». E perché la fase 2 possa prevedere una diversa valorizzazione di questa figura, la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) ha scritto una lettera con le sue richieste ai decisori politici. Doveri e diritti, quindi.

«A dare una lettura attualizzata del nostro Codice deontologico sono state proprio le lettere e le testimonianze che abbiamo ricevuto da tanti infermieri» spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale della Fnopi. Da qui sono nati gli 11 impegni che gli infermieri prendono con i cittadini in questa pandemia, anche per andare oltre il tema dell’eroismo, «che potrebbe essere dimenticato nel tempo». Il documento (che si può leggere integralmente sul sito www.fnopi.it) va dal far comprendere che la salute non è questione dell’emergenza al mantenimento di conoscenze scientifiche adeguate; dalla relazione di cura al percorso di cura; dall’informazione da trasmettere, anche quando è drammatica, alla riservatezza da mantenere; dalla capacità di una comunicazione scientifica ed etica alla relazione che si instaura con l’assistito per garantire sollievo dal dolore e cure palliative; dalla capacità di riorganizzare percorsi per evitare i rischi nell’area infettiva alla gestione della documentazione clinica, fino all’applicazione di linee guida e buone pratiche. «Tanti colleghi che hanno assistito pazienti Covid in tutte le aree, dalle Rianimazioni alle Rsa o anche a domicilio – rivela Mangiacavalli – ci hanno posto domande su come accompagnare al meglio questi pazienti, che vivevano solitudine e isolamento, specie nel fine vita. Mai sono venute richieste di lavorare meno o fare riposi, ma di poter essere adeguati nelle competenze e di poter lavorare – questo sì – protetti. E non hanno mai lasciato indietro nessuno».

Aurelio Filippini, infermiere in un reparto Covid all’ospedale di Varese, ha contribuito alla redazione degli 11 punti del Manifesto: «L’emergenza sanitaria è stata qualcosa di inedito nel mondo occidentale, tecnici e scienziati stanno prodigandosi per trovare spiegazioni e soluzioni. Ma i professionisti della salute hanno dovuto dare risposte immediate. Quando siamo riusciti a fermarci a riflettere ci siamo resi conto di quanti risvolti etici fossero presenti in tutte le nostre azioni, svolte sotto la pressione dell’emergenza». «Ci sembrava doveroso calare il nostro Codice deontologico in una situazione in cui sono cambiati i paradigmi – spiega Filippini, che è presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Varese –. E la risposta che abbiamo ricevuto ci conferma che quanto è stato fatto, in gran velocità, non è mai stato privo della componente scientifica né di quella etica. Centinaia di colleghi (e associazioni) l’hanno fatto girare sui social network, e molti ci hanno scritto dicendo: il manifesto ha dato parole a quello che abbiamo fatto, e ci fa sentire meno in balia degli eventi».

Sul fronte dei diritti invece si pone la lettera con sette richieste, inviata al presidente del Consiglio, al ministro della Salute Roberto Speranza e al presidente delle Regioni, Stefano Bonaccini. «Chiediamo che la fase 2 possa essere l’occasione di una riflessione e di adeguamenti normativi e legislativi – sottolinea Mangiacavalli – anche se, in questo periodo, non ci aspettiamo una convocazione in tempi brevi». Le richieste riguardano un’area contrattuale infermieristica che riconosca le peculiarità di una categoria che rappresenta oltre il 41% delle forze del Servizio sanitario; un’indennità che valorizzi la specificità della professione; adeguamento dei fondi contrattuali, specie in caso di rischio infettivo; adeguamento della normativa sulla malattia professionale; adeguamento degli organici e degli accessi universitari; aggiornamento delle norme sull’accesso alla direzione delle aziende di servizi alla persona; un’intramoenia infermieristica. «Si tratta di un distillato di provvedimenti che riteniamo prioritari, perché nella fase 2 c’è anche il ridisegno del Servizio sanitario nazionale e dei professionisti che ci lavorano – conclude Mangiacavalli –, tra cui gli infermieri».

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