sabato 5 settembre 2020
Valerio Mautone, 44 anni, dipendente dell’ospedale Sant’Anna di Como, racconta l’udienza privata riservata alla sua famiglia. Sono quasi tutti impegnati in corsia
L’udienza privata concessa da papa FRancesco alla famiglia Mautone, venerdì, in Vaticano

L’udienza privata concessa da papa FRancesco alla famiglia Mautone, venerdì, in Vaticano - Collaboratori

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«Un incontro che resterà indelebile nella memoria della nostra famiglia». Lo dice con la voce incrinata dall’emozione Valerio Mautone, mentre racconta i particolari dell’udienza, in forma privata, che papa Francesco, venerdì, ha riservato a lui e alla sua famiglia. Valerio in piazza San Pietro ci è arrivato a piedi, percorrendo il tratto della Via Francigena da Viterbo a Roma. Un pellegrinaggio di 120 chilometri in cinque tappe, segnate anche dal maltempo e dall’incontro con un lupo alle porte di Roma, che ha il valore di un voto e di una promessa.

Erano in 13 dal Pontefice, accolti «nel salone delle udienze importanti», scherza Mautone, compresi i genitori, il fratello (Raffaele), le due sorelle (Maria e Stefania) con relativi coniugi e figli. Valerio, 44 anni, origini partenopee ma da tempo trapiantato a Como, fa, anzi «è», infermiere all’Ospedale Sant’Anna di Como - San Fermo. Per lui, come per la sua famiglia, quello in corsia non si limita a essere un lavoro ma è una vera e propria vocazione. Ancora di più in questo tempo di pandemia.

È infermiere, da 40 anni, il papà, sono infermieri i quattro fratelli Mautone (e anche la moglie di Valerio, Emanuela, è infermiera). Dopo aver lavorato per cinque anni insieme al Sant’Anna, le loro strade si sono diversificate: Raffaele è andato al Cardiocentro di Lugano, in Svizzera, Stefania è tornata a Napoli, all’Ospedale dei Pellegrini, Valerio e Maria sono rimasti a Como.

«Quando è esplosa l’emergenza Covid – spiega –, c’era bisogno di 10 infermieri volontari per la rianimazione. Ci ho riflettuto per una notte, poi ho detto sì». Durante i mesi più difficili pure gli altri fratelli sono stati a contatto con pazienti Covid, in reparti diversi: Cardiologia per Raffaele, triage del Pronto soccorso per Stefania, Chirurgia per Maria. La mamma, che di mestiere fa la sarta, nelle settimane in cui le mascherine erano irreperibili si è messa a realizzare quelle in stoffa.

I Mautone hanno affidato la loro storia a una lettera inviata a papa Francesco, che ha espresso il desiderio di incontrarli. Da qui l’udienza di venerdì. «Davanti al Santo Padre – riprende Valerio – abbiamo voluto rappresentare tutti gli operatori del mondo sanitario e i tanti pazienti incontrati, quelli che sono guariti e quelli che non ci sono più». Il ricordo di quei giorni? «È stata un’esperienza stimolante dal punto di vista professionale. E molto difficile sotto il profilo psicologico: le persone erano malate e sole. Siamo stati a contatto con tanta sofferenza». E quando il peggio sembrava passato, a metà maggio Valerio si è ammalato. «Sentivo qualcosa che non andava nel respiro, ho fatto il tampone e sono risultato positivo».

Da lì un calvario di 42 giorni in isolamento, fino alla guarigione. «Mi sento un privilegiato. Per questo ho deciso di arrivare a Roma a piedi: ho camminato per tutti coloro che il Covid si è portato via. Penso anche al collega della Terapia intensiva dell’Ospedale Valduce, Xavier Chunga: ci siamo ammalati negli stessi giorni, ma lui una settimana fa è morto».

La famiglia Mautone ha portato un regalo speciale al Papa: le divise degli ospedali dove lavorano. «Gli abbiamo detto che erano intrise del sudore e delle lacrime di medici, infermieri e pazienti, e lui, che è profondissimo, ci ha risposto che sentiva battere il cuore di quelle persone».

Cosa lascia in eredità l’incontro? «Ha rafforzato la nostra fede e ci ha dato la certezza che il Papa non ci ha mai lasciati soli – afferma Valerio –. Così come non sono mancate le attestazioni di generosità e solidarietà per noi infermieri: cercheremo di dare sempre il massimo».

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