mercoledì 17 aprile 2019
L'allarme arriva dalle centraline piazzate in Lombardia ed Emilia Romagna: nell'acqua ci sono tracce evidenti di perfluori e in una formula nuova rispetto a quella che ha avvelenato il Veneto
Incubo Pfas, ora sono nel Po. «Coinvolte quattro regioni»
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I veleni hanno raggiunto il grande fiume e l’incubo Pfas si spande ora su tutto il Nord Italia. In ogni litro di acqua del Po, si trovano ottanta nanogrammi di quegli acidi perfluoroalchilici protagonisti della più grande contaminazione della storia del Veneto. A rilevarli sono state le centraline piazzate lungo il corso del maggior fiume italiano all’altezza del comune rodigino di Castelmassa, a confine con la Lombardia, e poi in località Corbola, una sessantina di chilometri verso l’Adriatico, a confine con l’Emilia Romagna.

La notizia è rimbalzata ieri dai palazzi della Regione Veneto. Sulla scrivania del commissario all’emergenza Nicola Dell’Acqua sono giunti i dati delle rilevazioni eseguite a marzo e ripetute il 2 aprile dell’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpav). A rendere ancora più preoccupante la situazione è il fatto che non si tratta dei “vecchi” Pfas a catena lunga (con otto atomi di carbonio) o corta (quattro atomi), al centro anche delle contaminazioni dell’Ohio nel 2002 e negli anni successivi in Germania e in Australia. Le sostanze ritrovate nel bacino del Po sono le famigerate C6O4, perfluori emergenti per i quali non sono disponibili standard analitici commerciali e le analisi a oggi sono esclusivamente sperimentali.

«Una sostanza così poco utilizzata e di nuova generazione – scrive Arpav al commissario Dell’Acqua – per essere riscontrata in queste quantità nel fiume più grande d’Italia fa supporre che si possano trovare a monte fonti di inquinamento importanti ». Tradotto: questi Pfas, molto probabilmente, provengono dalle regioni attraversate prima che il Po entri in territorio Veneto. «Per questo motivo – commenta Palazzo Balbi, sede della Giunta Zaia – la Regione del Veneto sta predisponendo una segnalazione alle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte riguardo a questo ritrovamento».

Non è la prima volta che questo nuovo inquinante compare dal 2013, anno in cui l’emergenza Pfas è balzata sulle prime pagine dei giornali. Nell’agosto 2018 il C6O4 era stato ritrovato anche nelle stazioni di rilevamento poste nel perimetro di Miteni spa, l’azienda vicentina di Trissino, fondata dalla famiglia Marzotto, presunta responsabile fin dagli anni Sessanta della contaminazione veneta che coinvolge tuttora almeno 350mila cittadini. Arpav tuttavia sostiene che «data l’ubicazione dei punti di campionamento, risulti pressoché impossibile che derivi dal sito inquinato nell’area dell’azienda Miteni. Il composto quasi sicuramente deriva dalle regioni del bacino padano a monte idraulico». Si tratterebbe di una conferma di quanto segnalato dal Cnr nella primavera 2013 nella relazione con cui ha denunciato la gravità dell’inquinamento. In Piemonte Legambiente da settimane è attiva e chiede alle autorità l’accesso ai dati ambientali relativi alla presenza di Pfas in provincia di Alessandria: l’osservato speciale qui è lo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.

Pochi giorni fa, intanto, la Regione Veneto ha reso noti i dati del settimo rapporto sull’emergenza da quando ha dato il via al piano di sorveglianza della popolazione maggiormente esposta. A oggi dei 47mila cittadini invitati a partecipare al piano ha aderito il 60 per cento. Su 25mila veneti esaminati ben 16.400 presentano una malattia correlata con la presenza di Pfas nell’organismo, interferenti endocrini che secondo studi internazionali sono causa di ipertensione, aumento del colesterolo, ipotiroidismo, ma anche di tumori al rene e al testicolo. Numeri che per la prima volta comprendono anche i bambini di nove e dieci anni, che in alcuni casi hanno riportato concentrazioni nel sangue pari a quelle degli adulti. Proprio questi dati hanno spinto le Mamme no Pfas, genitori da anni in lotta per la salute dei propri figli, a scrivere al ministro Giulia Grillo. Di fronte a una contaminazione che appare ormai fuori controllo, le mamme chiedono che in tutte le mense scolastiche dei comuni veneti venga utilizzata acqua in bottiglia per cucinare e per bere e che il cibo servito sia certificato 'no Pfas'.

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