giovedì 26 novembre 2020
L'arcivescovo di Milano: «Curare la famiglia per guarire la società». Il ministro dell'Interno: forze politiche insieme nell’emergenza. Il dialogo nella Settimana dei Centri culturali cattolici
Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, l'arcivescovo di Milano Mario Delpini (a destra in alto) e il direttore di Avvenire Marco Tarquinio

Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, l'arcivescovo di Milano Mario Delpini (a destra in alto) e il direttore di Avvenire Marco Tarquinio - Screnshot dalla diretta social

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Serve «un’alleanza fra istituzioni civili e istituzioni educative, come la Chiesa e la scuola», per affrontare quella «rabbia» e quel «disagio» che «si respirano in tante fasce sociali», che «il virus ha esasperato» ma che hanno «radici profonde».

Ecco: «abbiamo bisogno di essere alleati per costruire una società in cui sia desiderabile vivere senza paura gli uni degli altri», scandisce l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. E «per curare una società malata, è necessario curare la cellula originaria, la famiglia», insiste il presule.

Sì, perché «è dalla famiglia e dalla scuola che ci vengono i principi per la convivenza civile», lì i giovani imparano «la solidarietà per costruire una società più attenta alle esigenze degli altri e alla dignità di tutti», incalza il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. E se c’è una lezione che viene dalla pandemia, col «venir meno dell’individualismo», è che «la salute dell’uno dipende dalla salute dell’altro», aggiunge il titolare del Viminale, e che «serve la solidarietà per raggiungere risultati positivi».

Sono, questi, alcuni frammenti del dialogo moderato dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, e svoltosi questa sera nell’ambito della prima «Settimana dei Centri culturali cattolici» della diocesi di Milano sul tema «Insieme per risvegliare l’umano». L’incontro – trasmesso in diretta sui canali web e social diocesani – si è offerto quale occasione per riflettere sulle sfide di questa stagione segnata dalla pandemia, e su quale sapienza, e quale umanesimo, siano necessari per non lasciare al male l’ultima parola.

Una riflessione che, grazie alle domande di Tarquinio, ha "chiamato in gioco", da un lato, la nuova enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, dall’altro i dati e le coordinate della vita politica, sociale, economica di questo tempo. «Risvegliare l’umano significa passare dalle categorie ai volti, alle persone – ha osservato Delpini – La parola dell’arcivescovo alla città è per invitare alla responsabilità. La città non si aggiusta perché ci sono regolamenti o procedimenti, ma perché ciascuno ci mette del suo». E questo vale «anche per il lavoro, la scuola, la sanità, la Chiesa». La pandemia, con «la dolorosa presa di coscienza che ci ha imposto», può davvero essere «occasione per risvegliare l’umano», aveva detto appena prima il ministro.

Ecco: quali "medicine" servono – chiede Tarquinio – per curare questa società malata, per ritrovare parole e gesti comuni, per affrontare nodi incandescenti come le disuguaglianze esasperate dalla pandemia o i rapporti fra le generazioni?

I «provvedimenti complessivi», ha risposto Delpini, spettano alle «istituzioni», che «ringrazio per quello che fanno, in questi mesi tribolati, con grande dedizione e sensibilità». È dalla famiglia, afferma il presule, che si deve partire. «Dobbiamo certo investire sulla sanità, ma la guarigione di una società malata è creare un contesto di comunità dove la famiglia – che tanto ha sofferto nella pandemia ma che si è rivelata decisiva per affrontare la crisi – possa vivere le proprie responsabilità».

In questo scenario Lamorgese – che a Milano è stata prefetto dal febbraio 2017 all’ottobre 2018 – ha ricordato, da un lato, «la deriva rappresentata dall’odio», e la «rabbia sociale» generata dalle fatiche della pandemia, che lei stessa aveva additato fin dall’aprile scorso; dall’altro ha richiamato segni positivi come le convergenze («un miracolo!») fra maggioranza e opposizione su temi come l’assegno familiare unico o il via libera in Senato allo scostamento di bilancio.

«Quando ci sono problemi nel Paese, le forze politiche debbono lavorare insieme – ha sottolineato Lamorgese –. Solo così si raggiungono risultati positivi per l’intera comunità». Questo chiedono sfide come «i tanti che lavorano in nero» e quanti, impoveriti dalla pandemia, «non devono cadere in mani sbagliate come quelle degli usurai». Le «700 manifestazioni pubbliche» che si sono svolte «dal 24 ottobre al 10 novembre» sono un segnale eloquente.

L’arcivescovo, invocando «una campagna contro il disagio», ha rilanciato l’invito a una «responsabilità che trasfiguri il territorio». «Nessuno ce la fa da solo», ha ribadito, e serve «tessere rapporti a livello locale». Il presule infine ha offerto «tre parole per un umanesimo» che affronti la pandemia – e l’«emergenza spirituale» che ha innescato – senza soccombere: «umiltà – che è consapevolezza del nostro limite, certo pagata a caro prezzo –; speranza, per sognare insieme il futuro della società; alleanza». E nelle fatiche di questo tempo, è una «sapienza lieta» ciò che «possiamo invocare e di cui essere testimoni».

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