venerdì 5 ottobre 2012
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​Più iù controlli contro sprechi e spese allegre degli enti locali: Blocco delle candidature degli amministratori responsabili di dissesto finanziario. Riduzione delle indennità, dei vitalizi e del numero delle poltrone. Minaccia di scioglimento per le Regioni che non rispettano le regole sulla spesa. Sono le novità del decreto varato ieri dal governo, un provvedimento che stringe le maglie sui costi impazziti degli apparati politici territoriali. Una reazione agli scandali di quella «Italia vecchia» da superare, come ha ammonito il premier Mario Monti, e anche un altro passo verso una maggiore disciplina nei bilanci delle amministrazioni. Le riduzioni di spesa attese non sono state quantificate, ma il ministro del Tesoro Vittorio Grilli ha parlato di «cifre importanti, consistenti». Si ipotizza un colpo di scure da 4-500 milioni di euro. Per i sindaci e i presidenti di Provincia responsabili di avere sperperato il denaro pubblico del loro ente mandandolo in default arriva una doppia sanzione. Quella politico-amministrativa del divieto per dieci anni di candidatura nei consigli e nelle giunte di Municipi, Province, Regioni e società controllate, fino al Parlamento. Stop anche a nuovi incarichi nelle società controllate dalla mano pubblica. La seconda sanzione è quella pecuniaria, con multe da 5 a 20 volte la retribuzione percepita. A vagliare gli atti amministrativi e a erogare le sanzioni sarà la Corte dei conti e gli effetti saranno esecutivi dal primo grado di giudizio, almeno secondo la bozza del decreto portata in Consiglio dei ministri.Il decreto assegna un ampio ruolo di indagine alla magistratura contabile che potrà eseguire anche controlli «preventivi di legittimità» sulle spese programmate e i bilanci degli enti locali con l’ausilio della Guardia di Finanza e dalla Ragioneria Generale dello Stato.  Al vaglio ad esempio i piani sanitari delle Regioni, che rappresentano la maggiore voce di spesa in ambito territoriale. L’intenzione è quella di fare in modo che tutti gli enti abbiano nel giro di qualche anno le finanze in ordine (l’obbligo di rispettare il principio del pareggio di bilancio varrà anche in sede locale). Le amministrazioni potranno deliberare «aliquote o tariffe di tributi nella misura massima consentita» per rientrare dei deficit, ma al massimo per cinque anni. Le Regioni che non rispetteranno le misure di controllo della spesa stabilite subiranno tagli fino all’80% dei trasferimenti statali, eccetto su sanità e trasporti, e i Consgli regionali potranno essere sciolti.Il provvedimento discusso e approvato nel Consiglio dei ministri, che si è protratto fino a notte, riguarda anche altri capitoli sensibili come il tetto agli stipendi dei politici e la riduzione del numero degli amministratori. Si ritroveranno tutti con le stesse buste paga, allineate alle realtà territoriali che spendono meno. Nel caso delle Regioni, ad esempio, varrebbero i parametri della Toscana: 4.800 euro per un consigliere e 6.000 per il presidente. Sforbiciata in arrivo anche per i rimborsi ai gruppi, ai partiti e ai movimenti politici, con meccanismi di trasparenza e obbligo di tracciabilità per le spese dei gruppi consiliari. Saltano i vitalizi per gli eletti nelle Regioni, se non dopo i 66 anni, mentre per il calcolo della pensione varrà il metodo contributivo. Per quanto riguarda il numero delle "poltrone", il decreto dovrebbe riprendere quanto contenuto nella manovra dell’agosto 2011 che prevedeva la riduzione degli assessori a un quinto dei consiglieri e fissava il numero massimo dei consiglieri in base alla popolazione regionale: si va dai 20 membri per le realtà sotto il milione di abitanti per arrivare fino agli 80 oltre gli 8 milioni (la sola Lombardia). Tetti ai quali le autonomie si sarebbero già dovute adeguare ma che in buona parte non hanno fatto preferendo ricorrere, in 14 casi, alla Consulta.
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