giovedì 16 luglio 2020
Sollievo nella maggioranza per aver sminato la questione Aspi. Ora resta il Mes, ma il premier sente di poter navigare con maggior serenità. E Zingaretti prova a rilanciare l’alleanza per le regionali
La strana «vittoria di tutti». Conte ricompatta il M5s e il governo

Ansa

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Il giorno dopo la lunga notte di Palazzo Chigi, è come se M5s non avesse chiesto per due anni la revoca della concessione. È come se il Pd, appena due giorni fa con il segretario Nicola Zingaretti, non avesse dato 'mandato' a Giuseppe Conte di usare la mano di ferro contro i Benetton sino alle estreme conseguenze. È come se lo stesso premier non avesse rilasciato, appena domenica, un’intervista senza appello a due quotidiani.

Tutti vincitori, tutti soddisfatti per l’ultimo negoziato con i Benetton. Tutti sollevati, soprattutto, per un macigno che viene accantonato. «Meno uno...», dicono alla Camera durante le comunicazioni europee di Conte i deputati di maggioranza, con riferimento all’ultimo grande ostacolo che ancora divide Pd e M5s, il ricorso al prestito del Mes. Solo Italia Viva resta defilata al banchetto della vittoria: «Potevamo fare prima e meglio», spiega la capodelegazione in Cdm Teresa Bellanova. I primi a battere sul tamburo della vittoria sono proprio i 5s, dal primo mattino.

Soddisfatto Luigi Di Maio: «Benetton fuori, ce l’abbiamo fatta», dice il ministro degli Esteri in più momenti della giornata. Sente di averla spuntata anche l’'ortodosso' Alessandro Di Battista: «Nel Paese dove tutto finisce a tarallucci e vino, una famiglia di potenti come Benetton presa a schiaffi». Rivendica il risultato l’ex ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli. Idem il titolare del Mise Stefano Patuanelli: «Le Autostrade tornano agli italiani ».

A guidare la fila il capo politico reggente Vito Crimi: «È accaduto qualcosa di straordinario». Il ricompattamento di M5s è il risultato politico più significativo della strategia adottata da Conte e Gualtieri. Un risultato che allontana i venti di crisi, anche perché l’«ultimo nodo», il Mes, è ormai rinviato a dopo le Regionali. «Il Paese ha bisogno di stabilità – chiude la giornata delle dichiarazioni Di Maio, blindando l’esecutivo –. Chi pensa di aprire una crisi di governo in questo periodo, sapendo anche la vulnerabilità sui mercati dell’Italia nel periodo estivo, non vuole bene al nostro Paese». In effetti, sminare Autostrade non è roba da poco. Il puzzle della stabilità piano piano si compone. Il referendum costituzionale del 20 set- tembre, che prevedibilmente darà il via libera al taglio del numero dei parlamentari, chiuderà poi per altri tre mesi la finestra del voto, compensando l’eventuale sconfitta alle Regionali dei partiti di governo.

L’autunno potrebbe riservare un rimpasto più che una crisi, era la voce più ricorrente ieri alla Camera. A quel punto, a inizio 2021, basterà 'resistere' sei mesi per entrare nel semestre bianco che precede l’elezione del capo dello Stato. Uno scenario che copre i malumori dei 5s come quelli nel Pd. Non sfugge che la posizione antirevoca di Gualtieri e De Micheli è stata altra cosa rispetto alla posizione 'contiana' di Zingaretti.

Ma non è una frattura, si assicura. Bensì una strategia per evitare che ai dem fosse appiccicata addosso l’etichetta di pro-Benetton. Più o meno le stesse parole con cui Palazzo Chigi giustifica gli assalti a mezzo stampa di Conte sulla revoca: era per strappare il massimo risultato, la spiegazione ex post. Non è detto però che il ricompattamento di governo e maggioranza vada oltre la linea di galleggiamento. Zingaretti ci prova, rilanciando un nuovo appello per un’alleanza alle Regionali con M5s. In Liguria, dove c’è una trattativa avanzata su Ferruccio Sansa.

E magari nelle Marche per «non far vincere la destra». Ma non è facile, i 5s temono un boomerang simile all’Umbria. E allora meglio puntare sull’azione di governo. È il pallino di Gualtieri, che martedì notte a Palazzo Chigi si è mosso da leader. E che ieri ha tenuto al Nazareno una riunione sulla riforma del fisco (presenti, tra gli altri, il vicesegretario Orlando). Il ministro dell’Economia è convinto che i tempi per un fronte unico antisovranisti siano ancora lunghi: l’humus può essere solo l’azione dell’esecutivo.

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