martedì 17 maggio 2022
L’attivista per i diritti umani Yvan Sagnet racconta l’esperienza dell’associazione NoCap in occasione della presentazione, a Torino, del fumetto ispirato al suo impegno
«In rete con le imprese e i lavoratori. Ecco come si sconfigge il caporalato»
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Cosa c’è dietro a una città solo apparentemente perfetta? Una realtà distopica, una cortina di fumo che nasconde una realtà infernale in cui si calpestano i diritti civili. È questo il cuore de 'La città di Cap', graphic novel ispirato alla battaglia per i diritti umani di Jean Pierre Yvan Sagnet, autore della prefazione al libro. Il lavoro, nato dalla collaborazione con l’associazione NoCap e A Mano Disarmata e con il sostegno di Intesa Sanpaolo, verrà presentato oggi a Torino, nel corso del 7° Forum dell’informazione contro le mafie, che metterà al centro proprio la lotta al caporalato e le cui conclusioni saranno affidate a don Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Come ne 'La città di Cap' la rivoluzione è nelle mani di una giovane donna che dal gradino più basso della società, muove le coscienze, accendendo il senso civico, così adesso tocca a tanti protagonisti nascosti della società civile emergere dal buio e lottare per la propria emancipazione.

«Abbiamo accolto con tanto entusiasmo la proposta di raccontare con un fumetto lo sfruttamento dei lavoratori. Soprattutto perché è rivolto a un pubblico di giovani. E perché, purtroppo, il fenomeno è ancora gravissimo e in evoluzione». Così sottolinea Yvan Sagnet, attivista camerunense, nominato cavaliere della Repubblica dal presidente Mattarella per il suo impegno in difesa dei diritti dei lavoratori, promotore del progetto NoCap che ha ispirato il libro di fumetti. Un progetto che in tre anni ha coinvolto in sei regioni una cinquantina di aziende e circa 1.200 lavoratori.

Yvan, bisogna parlare ancora molto di caporalato?
Certo. Anche perché il fenomeno è in evoluzione. Ci sono nuove forme di caporalato, come le cooperative senza terra e le agenzie interinali. Cambia forma, ma ormai il sistema di produzione si regge sullo sfruttamento, che colpisce non solo il settore agricolo ma tutti i settori economici. E non riguarda più solo il Sud. Ben il 55% delle inchieste riguardano il centronord.

La legge 199 del 2016, conosciuta come “legge anticaporalato”, ha dato strumenti molto importanti a magistratura e forze dell’ordine. E i risultati si vedono. Ma basta?
No. Serve una vera e seria riforma del mercato del lavoro. Non possiamo lasciare tutto alla magistratura. La repressione serve ma non è sufficiente, risolve una parte del problema. Bisogna lavorare sulla prevenzione introducendo tutta una serie di strumenti.

La copertina della graphic novel “La città di Cap”, ispirata alla battaglia per i diritti umani di Yvan Sagnet

La copertina della graphic novel “La città di Cap”, ispirata alla battaglia per i diritti umani di Yvan Sagnet - .

Quali?
Serve una riforma del sistema ispettivo. C’è un’illegalità così diffusa che è diventata quasi legale, e vige una cultura dell’impunità alimentata dalla scarsezza dei controlli. Servono più ispettori. In Puglia a fronte di 40mila imprese agricole ci sono solo 99 ispettori, in Toscana una cinquantina. Utilizziamo il Pnrr per nuove assunzioni. Ma non basta il personale. Una riforma riguarda anche la qualità dei controlli. E poi va riformato il collocamento. Oggi i caporali svolgono una funzione di intermediazione, sono una sorta di centri per l’impiego illegali. Manca un vero sistema legale di incrocio tra offerta e domanda di lavoro. Il collocamento pubblico è stato completamente smantellato. E le aziende chiamano i caporali.

L’esperienza NoCap dimostra che è possibile fare altro. Quale è il segreto del vostro successo?
Siamo passati dalla protesta alla proposta. Le persone hanno bisogno di risposte concrete, non solo di raccontare i problemi. Siamo partiti dall’analisi del fenomeno. È un problema di sistema economico che produce sfruttamento e caporalato che sono funzionali a questo modello che pensa solo al profitto e non ai diritti della persona.

E dopo l’analisi?
Cominciare a lavorare. Sul territorio manca una risposta pratica. Molte delle battaglie, lo dico senza polemiche, si svolgono ai tavoli istituzionali, nei convegni, e meno sul territorio.

Non servono navigatori solitari, ma una rete di soggetti coinvolti…
Proprio così. Stiamo creando una rete sul territorio con i vari attori della società civile, soprattutto quelli che hanno esperienza, e sono in contatto permanente coi lavoratori e le imprese. Abbiamo così fatto un’alleanza con la Caritas, e con la Chiesa che conoscono i problemi dei lavoratori. Ma abbiamo fatto un’alleanza anche con tantissime imprese agricole perché non possiamo risolvere questi problemi se non le coinvolgiamo. Lasciamo da parte l’ideologia, andiamo sulla concretezza. Sono loro che assumono. A noi non serve diventare un’impresa agricola. Se non apriamo un confronto, un dialogo con le imprese, non riusciremo a fare niente. Questa collaborazione è stata la chiave della nostra impostazione e ci ha consentito di entrare nelle imprese e dettare le nostre condizione in accordo con loro. Ci fanno fare i controlli, e ci consentono di inserire nelle aziende soggetti deboli del mercato del lavoro.

Con che risultati?
Operiamo in sei regioni e in tre anni abbiamo intercettato una cinquantina di aziende agricole importanti, mediograndi, inserendo circa 1.200 lavoratori. Non è assistenzialismo, è lavoro. E coinvolgendo anche i consumatori.

E come?
I consumatori che sostengono queste aziende agricole e acquistano i prodotti col marchio NoCap, chiudono la filiera creando un ponte tra l’azienda, la distribuzione e il consumatore che riconosce un prodotto giusto, etico, pulito attraverso il nostro bollino NoCap. Il supermercato è contento di commercializzarlo, e l’azienda è contenta di produrlo. Il bollino lega la filiera dalla raccolta al consumo. E i consumatori stanno rispondendo, sia in Italia che all’estero, dove c’è una grande richiesta.

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