venerdì 22 febbraio 2013
​Per gli studenti di un istituto siciliano nel quartiere Brancaccio una settimana come volontari.
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​«Picciò, queste vengono dalla Sicilia, mica dalla Spagna eh?». Scherzano, sistemando le cassette di arance. Tra poco arrivano quattrocento ospiti per la cena e vanno accolti con cortesia e sorrisi. E per questo non avranno voti in pagella o crediti per la maturità, ma a loro importa poco. Stanno guadagnando l’umanità. Te ne rendi conto ascoltando come raccontano, alla fine del servizio, la loro giornata, le storie disperate e assurde che ognuno degli ospiti della mensa ha alle spalle. Con l’innocenza dei diciottenni e la consapevolezza che troppo spesso ci si giudica sfortunati per troppo poco. Arrivano da un quartiere di Palermo tristemente noto perché vi assassinarono don Pino Puglisi, prete antimafia: a Brancaccio però c’è di più. Energie giovani e insegnanti che vogliono scrollarsi di dosso il marchio di “terra senza speranza”. Così, i ragazzi dell’istituto industriale Alessandro Volta, quest’anno hanno scelto di rinunciare alla gita scolastica per un viaggio più istruttivo: una settimana da volontari nei refettori dei poveri a Roma. Li vedi servire con disinvoltura fra i tavoli della mensa Caritas al Casilino, indossando grembiuli e berretti di plastica. Erano stati preparati alle mansioni e alla fatica dai compagni che li avevano preceduti nel periodo natalizio, non ai segni della disperazione sui volti e negli occhi che avrebbero incontrato. «A loro, gli ospiti, non piace esser serviti – rompe il ghiaccio Andrea Scialabba –, come se versarsi da sé l’acqua o sparecchiare significasse rivendicare ancora un minimo di dignità». Adesso che la sala s’è svuotata, tocca a loro cenare e tirare fuori le emozioni. Hanno incrociato ingegneri cinquantenni rimasti all’improvviso senza lavoro, neolaureati ai quali nessuno offre una possibilità. «Alcune persone sono coltissime», spiega stupito Giuseppe Finocchiaro, davanti ai fusilli al pesto che i ragazzi hanno cucinato insieme nella foresteria della Cittadella della Carità, dove vengono ospitati. Quelle persone fino a pochi mesi fa avevano casa e «picciuli. Ora più niente - aggiunge in siciliano -, domani può succedere anche a noi». Nessuno può illudersi con la certezza preventiva che resterà fuori dalla rete della povertà. E non serve far finta che chi ne è già stato vittima sia invisibile. Ma, questo, non lo trovi scritto sui libri. Voluto dall’insegnante di religione, il progetto gita solidale nell’istituto è piaciuto a tutti. «Ci è sembrata una bella esperienza di vita – spiega Marcello Scafidi, il docente che ha accompagnato i ragazzi –, per avvicinarli alla cultura del servizio, far toccar con mano una realtà che la scuola non può dimenticare». Così anche la propria situazione assume una prospettiva diversa.anche in una città come Palermo dove il lavoro spesso è una chimera. «Ma noi – dice ancora Scafidi – siamo in Paradiso rispetto a queste persone. Almeno un piatto di pasta e un tetto sulla testa lo abbiamo». Fabio Meli non nasconde che la metà della sua classe non è venuta a Roma perché le famiglie non potevano permettersi di pagare il biglietto del treno. Nessuno naviga nell’oro, nonostante molti telefonini di ultima generazione e capelli alla moda potrebbero far immaginare.E un salto dentro la disperazione, che sembrava non poterli scalfire, quasi non esistere davvero, ha offerto loro una gran bella lezione: il senso reale dello cose. Su via Condotti, nella Capitale, durante una mattinata turistica hanno visto in vetrina un cappotto da 36mila euro: «Ti immagini la beffa se ci senti anche freddo?», fa Giancarlo Vinzi. Tutti ridono. Lui torna subito serio: «Pensate quanti pasti si potrebbero servire con tutti quei soldi…». Silenzio. Durante il servizio spesso fingono di non vedere se qualche ospite prende un frutto o un po’ di pane in più. Eppure qui stanno imparando che «la povertà non è solo fame, ma la solitudine», spiega alla fine Salvo Lupoi. Hanno voglia di raccontare, questi studenti. Guardano la realtà sgranando gli occhi, sorpresi, stupiti. Così hanno bisogno di ascoltare e capire. «Prof, ma c’è una mensa dei poveri anche a Palermo?»: la domanda di Ivan Pitarresi spiazza tutti. «Perché io – fa una pausa – vorrei continuare a fare il volontario anche in Sicilia».
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