domenica 24 luglio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI

«Sono Vittoria, la moglie, non la vedova, del brigadiere Antonino Marino, un servitore dello Stato. Oggi è la prima volta che sono qui. Dopo 26 anni la ferita è ancora sanguinante ma mi sono fatta forza e ora sono qui con voi». Queste parole sono sicuramente il momento più commovente della tredicesima marcia 'I sentieri della memoria', che si tiene ogni anno in Aspromonte il 22 luglio per ricordare Lollò Cartisano e tutte le vittime innocenti della ’ndrangheta. Lollò, fotografo di Bovalino, venne sequestrato il 22 luglio 1993. Non tornò mai a casa. Solo dopo dieci anni uno dei sequestratori, con una lettera anonima, fece trovare i resti del corpo tra i boschi dell’Aspromonte, sotto Pietra Kappa, splendido monolite che sovrasta il mare verde. Un luogo che Lollò amava moltissimo.

E proprio lungo questi sentieri, tra ruscelli e grandi querce e faggi, due giorni fa hanno camminato centinaia di persone, nel nome di chi ha dato la vita per dire 'no' alla violenza mafiosa. Nomi scritti su cartelli che segnano il percorso, nei punti dove si sosta come in una 'Via Crucis'. E nomi nuovi, come quello del brigadiere Marino, ucciso il 9 settembre 1990 nella piazza di Bovalino, mentre era con la moglie incinta e il figlio Francesco di appena 16 mesi, che vennero feriti. «Non esitarono a sparare davanti a me - ricorda Vittoria -. Doveva essere un segnale allo Stato che loro ci sono e fanno quello che vogliono». Così uccisero un bravissimo investigatore che aveva colpito duramente i clan anche sul fronte dei sequestri. La moglie Vittoria è qui per ricordare, col figlio Nino, che quel giorno aveva in grembo. Mentre l’altro figlio Francesco, dice con orgoglio, «è ufficiale dei carabinieri». Memoria e impegno. «Vogliamo percorrere a testa alta questi sentieri, dove dominava la ’ndrangheta. I nostri cari sono dentro di noi - dice Deborah Cartisano, figlia di Lollò -. Camminiamo col nostro passo per dare forza a chi si impegna. Noi siamo la molla per il cambiamento, non lo può fare nessun altro. E con questa molla andiamo avanti ».

 Come Mario Congiusta, padre di Gianluca, ucciso il 24 maggio 2005 a soli 32 anni per il suo 'no' alla ’ndrangheta. Oggi il suo paese, Siderno, gli intitola una piazza ma il nome di Gianluca da anni è scritto in questi boschi. «Le nostre sono storie di grande dolore, che non ha unità di misura, che non può essere ceduto - riflette papà Mario . Ma la memoria che facciamo oggi deve essere collettiva». Poi parole forti, ma non di disperazione nè di odio. «Non vogliamo pietà ma la vostra indignazione perchè non abbiamo avuto giustizia.  Solo 2 delle 33 vittime innocenti della Locride hanno ottenuto un processo. Noi non odiamo ma pretendiamo giustizia. Noi siamo diversi dai mafiosi. Dolore e mancanza di odio. Non vogliamo vendetta ma giustizia».

 Come Liliana, mamma di Massimiliano, raggiunto dal piombo dei killer ’ndranghetisti il 24 settembre 2004, a 30 anni. Ucciso per l’amore verso una donna del clan, dalla quale aveva avuto un figlio. «Si nega l’esistenza a chi è capace d’amare» dice Liliana tenendo in mano la foto del figlio. «Per questo - aggiunge dobbiamo impegnarci facendo memoria. Se chiuderemo gli occhi saremo noi la ’ndrangheta». Poi si rivolge ai tanti ragazzi, molti dei quali partecipano ai campi di lavoro di Libera sui beni confiscati alle cosche. «Grazie. Grazie di essere qui con noi. Nel vostro volto vedo il volto di mio figlio. Riprendiamoci il diritto di amare che la ’ndrangheta ci vuole negare». Quell’amore, quella memoria, quell’impegno che vengono rafforzati a metà del cammino dalla Messa concelebrata da dieci sacerdoti in una radura del bosco. Sullo sfondo l’altissima Pietra Kappa, illuminata dal sole, sembra sorridere. Quasi alla sua base, una piccola croce ricorda Lollò e con lui tutti quelli che sono morti per la libertà di questa terra.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: