domenica 25 aprile 2010
Cambia il piano del governo: sì al sito in superficie. Che fine faranno le scorie prodotte dagli impianti e dal mondo della ricerca? Se ne parla da tempo: ora si attende solo una «carta» delle aree ritenute più idonee a ospitare il deposito unico.
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Per completare il percorso che porta da Scanzano Jonico al nuovo deposito unico dei rifiuti radioattivi, servono almeno dieci anni. Sei sono già trascorsi dal giorno in cui il secondo governo Berlusconi dichiarò chiusa, dopo due settimane di proteste e mobilitazioni della comunità lucana, la vicenda relativa al cimitero nucleare. Altri quattro anni sono invece il tempo necessario dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 31 del 15 febbraio 2010 in cui, tra l’altro, si definisce la necessità di una «carta» delle aree idonee per il nuovo sito. A differenza del passato, una novità però c’è già: non si tratterà più di un sito «geologico», pronto ad ospitare in profondità rifiuti ad alta radioattività, ma di un sito posto in superficie all’interno di un moderno parco tecnologico. Da questo punto di vista, almeno, l’addio simbolico a Scanzano Jonico è già cominciato. «Non vorremmo essere noi in Italia i primi a fare un deposito sotterraneo» ha spiegato nei giorni scorsi il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, che ha poi confermato la volontà di trovare un sito in superficie, riconoscendo che la gestione delle scorie è ormai diventata un «problema ineludibile».Tempi lunghi per la scelta«La scelta di indicare Scanzano fu all’epoca un errore del mondo politico – spiega Ugo Spezia, segretario generale dell’associazione italiana nucleare, nonché memoria storica della stagione dell’atomo in Italia – Si sbagliò per l’impostazione verticistica che si diede al progetto, sottovalutando la necessità di creare consenso». Che si trattasse di un boomerang, fu subito chiaro dalla sorpresa con cui la notizia venne accolta da migliaia di cittadini e dagli stessi amministratori. «Mi feci spedire l’agenzia via email e andai in municipio – ha raccontato qualche mese fa il cronista Pierantonio Lutrelli – Incontrai un solo assessore. Gli feci legge l’Ansa. Restò scosso. Si vedeva che non sapeva niente». Il cimitero nucleare doveva sorgere a Terzo Cavone, in uno spazio grande come un campo di calcio. Un deposito «ideale», secondo gli addetti ai lavori. «Ma all’Italia non serviva un progetto del genere» riconosce oggi Spezia, che preferisce proiettare lo sguardo verso il futuro. Il processo per l’individuazione del nuovo deposito avverrà per gradi e passerà al vaglio delle osservazioni e dei pareri di molte autorità, fino alla manifestazione di interesse da parte delle Regioni interessate. I tempi saranno lunghi: da un minimo di 1.565 giorni a un massimo di 1.805. «Sono necessarie diverse fasi per creare consenso – spiega Spezia – mentre, una volta ottenute tutte le autorizzazioni, la costruzione del deposito sarà rapida». Si è ribaltata la prospettiva: non più decisioni una tantum inaspettate ma un lungo lavoro ai fianchi delle realtà potenzialmente interessate, tanto che Spezia dà atto al governo di «aver mostrato questa volta di sapersi prendere le proprie responsabilità in materia». Non più una decisione esclusivamente italiana, ma un passo cruciale nel solco dei modelli europei. «La formula è quella sperimentata con successo a Karlshrue, in Germania: un parco tecnologico con un sito superificiale per la raccolta di rifiuti a bassa e media attività – spiega Spezia – Ci sarebbero vantaggi significativi sia per le comunità ospitanti, che riceverebbero fondi dallo Stato pari a 5 milioni di euro all’anno, sia per l’occupazione: il parco tecnologico potrebbe dare lavoro a un migliaio di persone».Il dibattito che non c’èIn Italia i materiali radioattivi esistenti sono pari a circa 80mila metri cubi, inclusi i rifiuti: si va da quelli derivanti dallo smantellamento delle vecchie centrali nucleari a quelli prodotti dall’industria, dal settore medico-sanitario e dalla ricerca scientifica. Quali sono i rischi per l’ambiente? «Praticamente zero» secondo Spezia. Ogni deposito è comunque dotato di una rete di monitoraggio che si estende per chilometri intorno agli impianti ed è in grado di rilevare qualsiasi anomalia. Quando ci sarà, il nuovo deposito unico servirà sia per le nuove che per le vecchie centrali. La mappa dei siti dovrà dunque comprendere, in previsione, anche l’indicazione di un sito in più per la raccolta dei rifiuti nucleari. Ma l’intreccio tra tempi, procedure e ricognizioni sul campo può rappresentare un problema. «La questione del deposito unico – riflette Sergio Vazzoler, responsabile Ferpi in materia di processi decisionali e "sindrome Nimby" – fa riemergere un ritardo strutturale nel dibattito italiano. Un Paese come l’Italia deve prepararsi per tempo a una svolta del genere, invece l’incertezza legislativa rallenta i processi di comunicazione e si finisce per non partire mai». «Il rischio che si strumentalizzi il problema della sicurezza c’è» ammette Spezia, che però chiede «un salto culturale della nostra classe politica, che deve smetterla di investire sulle paure della gente». Si torna a Scanzano Jonico, ai timori della popolazione e delle comunità locali e agli errori commessi all’epoca. «Oggi dalla sindrome Nimby (Not in my back yard, non nel mio giardino) siamo passati alla sindrome Nimto (Not in my term of office, non durante il mio mandato). I politici, sia nazionali che locali, decidono per ragioni di consenso di rinviare le scelte strategiche – spiega Vazzoler – e alla fine si moltiplicano gli interessi particolari». Servirebbe un dibattito pubblico e magari un’Autorità deputata a farlo, come accade in Francia, Paese eletto a modello per il futuro nucleare italiano. Eppure i mesi passano e le novità non arrivano.
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