mercoledì 21 ottobre 2015
​Il premier ci ripensa sulle tasse sulla prima casa. Giallo sul testo, solo oggi al Senato.
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Il tam tam è diventato così forte che alla fine Matteo Renzi ha dovuto uscire dal guscio e difendere una manovra ormai diventata oggetto di attacchi concentrici. «Sarà formalmente presentata in Parlamento domani - oggi, ndr -», specifica su Facebook mentre la minoranza Pd e tutte le opposizioni denunciano l’assenza del testo a ormai cinque giorni dal varo in Consiglio dei ministri e dalla successiva conferenza stampa. Ma non è questo il colpo di teatro. Il premier nel suo lunghissimo post annuncia che «a differenza di quanto si dice con tono scandalizzato castelli e case di lusso pagheranno» Imu e Tasi, esattamente come accadde nel 2008 quando Berlusconi abolì l’Ici sulla prima casa. «Ironia della sorte – affonda con riferimento ai duri attacchi di Bersani – i castelli furono parzialmente esentati dai governi successivi al 2008, anche di centrosinistra».  Morale della favola: gli immobili classificati A1, A8 e A9 non saranno detassati. Renzi prova a sostenere che questa è stata sin dall’inizio l’intenzione del governo. Ma restano agli atti le diverse e numerose dichiarazioni del premier in cui afferma che l’imposta sulla prima casa sarebbe stata eliminata «tutta per tutti». Invece sull’abitazione sono diverse le cose cambiate all’ultimo secondo nella lunga giornata di lavoro sviluppatasi ieri tra Palazzo Chigi e Tesoro. La retromarcia sugli immobili di pregio, ma anche il ritorno della possibilità, per i comuni, di applicare l’addizionale Tasi dello 0,8 per mille sulle seconde case. Inoltre, viene anche chiarito che la Tasi per gli inquilini salta solo se quella in cui si risiede è l’abitazione principale.  Il passo di Renzi dovrebbe servire a smuovere le resistenze della minoranza Pd. Che però, in Parlamento, porterà altri emendamenti in cui chiederà che l’eliminazione di Tasi e Imu sia progressiva anche in base alle fasce di reddito, come annuncia Roberto Speranza. E in serata Pier Luigi Bersani fa sapere: «I 3mila euro come tetto per i contanti non li voterei, ma non ho nessuna intenzione di mettere in crisi il governo. Però non starò zitto». Non torna indietro, invece, il premier, sulla soglia per l’uso del contante portata da mille a 3mila euro. «Prodi l’aveva fissata a 5mila. Monti a mille. Noi stiamo in mezzo. È una misura semplice e liberale per aiutare i consumi e sbloccare molte famiglie italiane. Il limite del contante non aiuta l’evasione, né la combatte. Davvero qualcuno può pensare che questa misura renda la manovra incostituzionale? E dai! Un po’ di serietà non guasta». Più tardi lo staff del premier fa filtrare un sondaggio Doxa per cui la misura del contante piace al 50 per cento degli italiani, mentre la fiducia nel premier sfiora il 40 per cento e quella nel governo il 37. «Merito della stabilità».  Sullo sfondo il ritardo (in realtà diventato consuetudine negli ultimi anni) con cui il governo presenterà la legge di stabilità al Colle e al Parlamento. Negli ultimi giorni il capo dello Stato Sergio Mattarella ha fatto intendere al premier e al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan di non voler aspettare oltre, dato che c’è (c’era) una scadenza che impone di portare la manovra in Aula entro il 15 ottobre. Renzi su questo ritardo ci gioca, perché, in assenza del testo ufficiale, può archiviare a «commenti divertenti» le anticipazioni e le critiche piovute da sinistra e da destra sulla manovra. Ma ieri davvero c’è stata tensione, davvero si è lavorato a riscrivere grossi pezzi della manovra per evitare una guerriglia al Senato simile a quella che si è verificata sulla riforma costituzionale.  Per il resto Renzi tiene lo stesso tono del giorno in cui presentò la manovra al Paese. «Per le prima volta nella storia d’Italia le tasse vanno giù in modo sistematico. Per tutti, per sempre». Al premier non fa problema l’accusa di aver 'imitato' Berlusconi, l’unica differenza è che «io, sulla casa, non tornerò indietro come fece lui. E non peseremo sui comuni, sui sindaci: questa legge di stabilità è pensata per loro e i cittadini normali, per chi tira la carretta».  Nel suo "sfogo" su Facebook Renzi sfida Salvini sulla Rai e M5S sull’azzardo. «Il canone? Se tutti pagano, paghiamo meno. Se facciamo come Salvini, che afferma orgoglioso di non pagare nonostante in tv ci vada poco, gli onesti ci rimettono». Quanto al gioco d’azzardo, prosegue, «almeno si aspetti di leggere la norma. Vediamo se qualche deputato grillino, tra una scia chimica e l’altra, si accorgerà di aver detto menzogne. Magari chiederanno persino scusa, lo scopriremo solo vivendo». Parole che, a voler leggere le nuove intenzioni dell’esecutivo, sembrano annunciare un «no» ad altre licenze per le scommesse. Ma si vedrà oggi, testo alla mano.  È sin troppo evidente che il problema di Renzi è la sua minoranza che rende difficile l’iter in Senato (la manovra parte proprio da Palazzo Madama). Il premier sembra accusare i suoi oppositori interni di non «vedere le vere novità». «A me sembra di sognare, più soldi su cultura, università, ricerca, poveri... non capisco la timidezza nel mio partito ma alla fine ciò che conta è la realtà, non le polemiche». © RIPRODUZIONE RISERVATA 
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