venerdì 18 marzo 2016
Agenti di polizia e ong criticano l'ipotesi di introdurre nuove norme che ne consentano il prelievo forzoso.
Il governo prepara il giro di vite chiesto dalla Ue
Impronte digitali, no degli operatori
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«Vergognosa», «assurda», «inutile e controproducente ». Difficile trovare tra esperti di immigrazione, operatori dell’accoglienza e sindacati di polizia, una voce di consenso alla proposta del ministro Alfano che da Bruxelles ha fatto sapere di lavorare «su una norma che specifichi bene in che termini la forza può essere usata per i fotosegnalamenti». «I nostri giudici – ha sostenuto il ministro dell’Interno – hanno detto che, a determinate condizioni, un uso proporzionato della forza ci può essere per assumere le impronte digitali», aggiungendo poi che «dobbiamo proteggere i nostri concittadini, che devono esattamente sapere chi entra nel territorio nazionale ed europeo, e al tempo stesso i nostri poliziotti, che non possono essere lasciati senza una cornice normativa chiara. Perché poi magari si sveglia qualcuno e li denuncia per aver usato la forza». Gli agenti, però, non l’hanno presa bene. «L’idea di dover utilizzare la forza per prelevare le impronte digitali è una boutade che, oltre a non aiutare le for- ze di polizia, espone i suoi appartenenti oltre al carico di lavoro anche a responsabilità penali ed esistenziali». Lo afferma Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp. «L’utilizzo delle forza su chi scappa dalla violenza della guerra – rileva il leader del Siulp – è la peggiore risposta che si può dare ad un profugo, ma è anche la 'trappola' più diabolica alla quale si vuole esporre il personale delle forze di polizia in quanto la responsabilità penale, nel nostro Paese, è e resta ancora personale e non di chi fa le leggi che poi non possono essere attuate». Daniele Tissone, segretario del sindacato di polizia Silp Cgil, pone condizioni precise: «Al momento auspichiamo, qualora si dovesse intervenire su tale delicato versante, il massimo rispetto dei diritti umani, come sancito dalla nostra Costituzione, nonché norme chiare a tutela degli operatori». Non meno severi i toni degli operatori umanitari. «L’utilizzo della forza su persone che scappano da guerra e persecuzioni è semplicemente inaccettabile », commenta padre Camillo Ripamonti, direttore del Centro Astalli, la sezione italiana del servizio internazionale per i rifugiati dei gesuiti. «Queste scelte non determinano un processo di accoglienza né di integrazione. E non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di persone che già fuggono da contesti di violenza estrema nella quale la forza viene adoperata incondizionatamente su di loro». Don Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei, non va per il sottile. «È una proposta vergognosa – dice - che si aggiunge ad altre, come se si andasse nella logica di nuovo pacchetto sicurezza». Secondo Perego il progetto, se attuato, otterrà l’effetto contrario: «Non vi sarà maggiore sicurezza, e al contrario si creerà conflittualità sociale, per non dire del rischio di disordini nei centri per migranti, e questo solo perché ci si dimentica di chi sono le persone che stanno arrivano e del perché stanno fuggendo». Alla politica è richiesto un cambio di prospettiva. E anche coerenza con i propri valori. «Democrazia - insiste il direttore della Migrantes – vuol dire tutelare i diritti fondamentali, proteggere e promuovere la dignità delle persone, la loro vita, facilitare i percorsi di ricongiungimento familiare. E la situazione ai confini dell’Europa richiede canali e iniziative umanitarie». Proprio da Bruxelles arriva la voce di Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana, reduce da un incontro all’Europarlamento, dove è stato presentato il Rapporto annuale sui migranti redatto da Caritas Europa. «Dai rappresentanti dei vari Paesi è arrivato il sostegno al rispetto dei diritti umani un tutte le procedure di registrazione degli immigrati. Perciò le affermazioni di Alfano sorprendono, perché si stratta di esseri umani in fuga, persone che scappano da realtà nelle quali i diritti umani sono compromessi e non può essere il ricorso alla forza per le impronte digitali né tantomeno la realizzazione di campi in Turchia o Grecia la soluzione a un problema politico». E dalla politica «ci si attendono - conclude - ben altre risposte».
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