mercoledì 22 luglio 2015
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​Ha denunciato tangenti e malaffare che lo hanno risucchiato, non rinnega nulla di ciò che ha fatto, ma è stato costretto a chiudere la sua azienda di protesi ortopediche con 27 anni di vita alle spalle e a lasciare a casa sette dipendenti. È un imprenditore sul lastrico Giuseppe Schirru, con i creditori alle calcagna, vari sfratti e pignoramenti sulla testa, un paio di sentenze favorevoli, ma un’attività distrutta.La sua è una di quelle storie emblematiche della difficoltà di fare impresa in Italia, e al Sud in particolare, quando la mafia e la corruzione riescono a stritolare tutte le buone intenzioni. Sembra così di finire in un girone infernale, in cui si precipita continuamente e si perde la speranza di risalire. Accade quando la corruzione di funzionari pubblici e il pizzo della mafia si manifestano sotto le forme più varie di richieste di denaro sonante, ma anche di benefit, biciclette, moto. Illegalità continuata e prolungata, dunque, che spesso penalizza chi vorrebbe soltanto continuare a fare il proprio lavoro con onestà.Adesso Schirru, palermitano, chiede solo di potere accedere al fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura, unica possibilità per potere riaprire la sua azienda, la Emyr sanitaria Snc. Un’impresa di produzione e distribuzione di materiale ortopedico con sede a Misilmeri e quattro succursali a Cefalù, Lercara, Termini e Pantelleria.L’inizio della progressiva caduta in disgrazia risale a una dozzina di anni fa, quando la Banca Antonveneta gli comunica la revoca retroattiva della facoltà di scopertura e la segnalazione alla centrale dei rischi della Banca d’Italia, creando all’imprenditore molteplici problemi per l’accesso al credito. Una vicenda che si è poi conclusa (o quasi) circa due anni fa con una sentenza di condanna del Tribunale di Termini Imerese nei confronti della banca a risarcire la società e Schirru di quasi 45mila euro oltre alla metà delle spese processuali (ma c’è ancora in corso una opposizione).Nel frattempo, però, le richieste illecite di funzionari pubblici e mafiosi facevano il resto. Pietro Vincenzo Monti, funzionario del distretto sanitario di Misilmeri dell’Asp, con la minaccia di ostacolare i pagamenti delle forniture, avrebbe costretto Schirru a versargli circa 40 milioni delle vecchie lire, in contanti e assegni, e a consegnare gratis merce e forniture per sé e per i propri familiari, come hanno accertato i giudici di Termini Imerese, che lo hanno condannato a due anni in appello, lo scorso marzo, e a 10mila euro di provvisionale.Ma nel 2014 la crisi economica è forte, i debiti enormi; l’unica falsa speranza di rialzare la china Giuseppe Schirru la vede in una sua vecchia conoscenza di Termini Imerese, un ex fisioterapista dell’Asp condannato per associazione mafiosa secondo il 416 bis e uscito di galera dopo dieci anni.«Mi presenta un’altra persona interessata a mettersi in società con me, sembrano intenzionati ad aiutarmi – racconta Schirru –. Questa vecchia conoscenza mi chiede di essere assunta e io lo faccio. È la fine». A ottobre 2014 Schirru licenzia l’ex detenuto, lo denuncia, c’è il concreto rischio di infiltrazioni mafiose nella sua impresa. Le indagini e i processi stanno facendo il loro corso, ma nel frattempo Schirru deve chiudere la sua azienda, la Emyr sanitaria, nel marzo scorso. Le disavventure imprenditoriali portano con sé anche guai seri con le banche, problemi di accesso al credito, cause giudiziarie con la Monte Paschi di Siena.«I tempi della giustizia sono troppo lenti per accedere al sistema di protezione e si vive nella paura» è il grido d’allarme di Schirru, che però non rinnega le sue scelte, anzi. «Invito tutti gli imprenditori vessati da pressioni mafiose o da funzionari corrotti a denunciare subito, perché prima o poi si ritroveranno nelle mie identiche condizioni».
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