giovedì 23 settembre 2010
Meno arrivi per l’effetto crisi. E c’è chi ritorna in patria. Aumentano i nati in Italia. Secondo i primi dati del ministero, gli stranieri sui banchi si attestano intorno ai 675mila. Molte le deroghe alla quota fissata del 30% per ogni classe.
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Non è più la rivoluzione "colorata" di qualche anno fa, con classi che cambiavano volto da un anno con l’altro grazie all’arrivo di bambini provenienti da mezzo mondo. Ora l’immigrazione arriva sui banchi di scuola a ritmi sempre più graduali, addirittura rallentati rispetto al recente passato, e richiede una politica non più dettata dalla logica dell’emergenza, ma da un piano di integrazione effettiva.Secondo dati riservati del ministero dell’Istruzione, nel 2010 il numero complessivo degli studenti stranieri in Italia si è attestato a quota 675mila, circa 45mila unità in più rispetto a un anno prima. Nell’anno scolastico 2008-2009 l’incremento era stato di 55mila, comunque in calo rispetto ai +70mila registrati nel periodo 2007-2008. La crescita dei giovani immigrati è dunque confermata, ma si assiste nello stesso tempo a una progressiva stabilizzazione del fenomeno. Un rallentamento è in atto, dunque, mentre non accenna a diminuire la presenza degli immigrati di seconda generazione, sempre più alta nelle scuole dell’infanzia e nella scuola primaria, dove il 70% degli stranieri frequentanti ormai è nato in Italia. In media, i ragazzi nati in Italia da coppie straniere che oggi popolano le nostre classi sono oltre il 40% del totale: oltre quota 270mila. Consolidato, invece, è il quadro delle nazionalità più presenti, relativo all’ultimo dato disponibile dell’anno 2008/2009: in testa, secondo i numeri dell’ultimo dossier Caritas, ci sono i ragazzi romeni (105mila) seguiti dagli albanesi (92mila) dai marocchini (83mila) e dai cinesi (30mila). «La spiegazione più immediata è legata agli effetti della crisi economica» spiega Vinicio Ongini, che da tempo studia il fenomeno e che sul tema dell’integrazione nelle scuole ha scritto per Vallardi editore "Una classe a colori". «Ci sono molte famiglie straniere che, per far fronte alle difficoltà della recessione, hanno preferito tornare nei propri Paesi d’origine». Un fatto non prevedibile solo tre anni fa, quando non a caso l’incremento delle presenze straniere ha toccato l’apice. «È una forma di immigrazione di ritorno, tipica peraltro in alcune comunità come quella marocchina, dove è abitudine rimandare a casa il figlio in età scolare proprio per ragioni economiche» osserva Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli. «Poi c’è un problema di minor attrattività del nostro Paese, dovuto sempre alla difficile congiuntura economica». Trovare lavoro, da un lato, e ottenere poi il permesso al ricongiungimento familiare con moglie e figli, dall’altro, sono considerati ostacoli enormi da affrontare, tali da rendere poco appetibile l’ingresso in Italia.Quanto alla quota del 30% fissata dal ministro Mariastella Gelmini, con una circolare che chiariva il livello massimo consentito di stranieri per classe, va detto che con l’inizio del nuovo anno scolastico si è assistito a un vero e proprio boom di deroghe. A Milano, ad esempio, su 130 istituti che andavano oltre questo limite, nessuno ha rispettato l’obiettivo e lo stesso discorso vale anche per molte altre zone d’Italia. Le interpretazioni, poi, sono state diverse: in certi casi si è ritenuto di fissare questa soglia tenendo conto degli alunni non italofoni, cioé di chi non sapeva la lingua. «Il panorama effettivamente non è molto cambiato – osserva Ongini – ma uno sforzo di riequilibrio c’è e si concretizza nel tentativo di uniformare verso l’obiettivo del 30% scuole che sin qui hanno avuto presenze di stranieri assai differenti». La strada da compiere resta lunga anche sul versante dell’apprendimento della lingua italiana, il cosiddetto "L2". Dopo l’anno dei mille progetti in altrettante scuole italiane, ora tutto si è fermato, ufficialmente per mancanza di fondi. Ora si attende un progetto strutturale, in grado di responsabilizzare i dirigenti scolastici (i presidi) e di far nascere collaborazioni virtuose sul territorio con gli enti locali.
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