martedì 5 gennaio 2016
Firmato il decreto per la cessione dei complessi aziendali. Pesa la possibile apertura della procedura d’infrazione Ue.
L'arcivescovo Santoro: «Ora i fatti, la gente vuole concretezza»
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Il governo si gioca l’ultima carta per evitare il fallimento del siderurgico. Già da oggi su quotidiani nazionali ed internazionali è stato pubblicato l’invito, rivolto a potenziali compratori, di manifestare interesse per l’acquisto del colosso dell’acciaio europeo. Il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ieri ha firmato il decreto che autorizza la cessione dei complessi aziendali dell’Ilva, in amministrazione straordinaria da poco più che un anno, e le procedure per il trasferimento delle aziende che fanno capo alle società dell’intero gruppo. Dunque prende il via il progetto quadriennale di cessione a privati, predisposto dai tre commissari straordinari designati dal governo, Piero Gnudi, Corrado Carruba ed Enrico Laghi. I gruppi singoli o le cordate interessate, dovranno palesarsi in un mese, mentre le procedure che porteranno alla vendita si dovranno concludere entro il 30 giugno prossimo, così come stabilito dal nono decreto legge approvato dal governo il 4 dicembre scorso. In questo stesso decreto lo Stato si impegna a cedere, oltre agli 800 milioni di euro inseriti nel patto di Stabilità ed ai 400 già garantiti, altri 300 milioni di euro, come prestito ponte. Motivo per cui l’Europa ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia, accusata di fornire aiuti di Stato ad un privato, ledendo così la concorrenza europea. Per il governo invece si tratta di un prestito necessario per portare a termine la riconversione ambientale. «Basta considerare l’Europa una nemica o una maestrina. Porre le questioni con chiarezza è utile a noi e all’Europa stessa. Poi che qualcuno amerebbe veder chiudere Taranto – ha detto in un’intervista a La Stampa il premier Renzi qualche giorno fa – è cosa nota ma non lo accetteremo. Per l’Italia è finito il tempo della paura: rispetto per tutti ma paura di nessuno». Sul decreto è intervenuto anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che già nelle scorse settimane aveva avanzato ipotesi alternative di produzione, ad impatto più dolce, rispetto all’attuale trasformazione dell’acciaio. «La trasformazione della fonte energetica fondamentale da carbon coke a gas, rappresenta l’unica reale possibilità di conciliare esigenze produttive e salute. Ricordo che l’utilizzo del gas naturale e del cosiddetto preridotto, abbatte le emissioni nocive del 100% e del 60% quelle di CO2. Così la produzione di acciaio italiana e europea sarebbe una delle poche compatibili con l’ambiente e con la salute. La Regione Puglia – conclude Emiliano – rimane a disposizione del governo e degli eventuali acquirenti per favorire la positiva soluzione della trattativa di acquisto ». All’interno della fabbrica di Taranto intanto si vivono momenti di attesa e tensione. Per gli operai la presenza statale era motivo di garanzia. Ora tutto torna in gioco ed il timore è di perdere il proprio posto di lavoro. Sono in tredicimila i dipendenti dell’Ilva, solo nel capoluogo ionico, senza considerare i migliaia dell’indotto. Tempo fa si era fatta strada l’ipotesi di acquisizione da parte del colosso franco-indiano Arcelor Mittal, poi venuta meno. Il gruppo sembrerebbe tornato all’attacco chiedendo però una garanzia di non punibilità per le azioni messe in atto sulla base del piano ambientale ed inoltre carta bianca sulla gestione. La Gnudi invece ha parlato dell’interesse di una cordata italiana. I nomi sarebbero quelli di Marcegaglia, Arvedi ed Amenduni. Per aggirare il dictat dell’Europa, l’Italia pensa all’intervento della Cdp, che non rientra nei conti pubblici, e che potrebbe così accollarsi il 40% del gruppo, quella famosa bad company, in cui confluirebbero i costi dell’ambientalizzazione della fabbrica e i debiti con i fornitori. La parte sana verrebbe ceduta invece ai privati.
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