domenica 23 agosto 2020
Nella variante più fragile che sta circolando il SARS-CoV-2 cede tre aminoacidi che gli permettono di riprodursi e aggredire l’uomo
«Il virus è mutato: la sua struttura ora perde i pezzi»

Ansa

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Sta circolando una variante di SARS-CoV-2 più fragile, che in un caso su 100 si rompe e perde i pezzi. Nel Rna virale si verifica una 'delezione' in quella parte della proteina Nsp1 che regola la replicazione del coronavirus e la sua patogenicità. Capita cioè che il coronavirus a un certo punto perda tre aminoacidi che gli permettono di riprodursi e aggredire l’organismo umano. La proteina del ceppo virale che subisce questa rottura non smette di funzionare, ma questo suo cambiamento – irreversibile – potrebbe essere la causa della minore pericolosità del morbo che si riscontra con il passare del tempo. La svolta emerge da un articolo scientifico accettato che sarà pubblicato sul Journal of Translational Medicine da un gruppo internazionale di ricerca, composto da Francesca Benedetti, Greg A. Snyder, Marta Giovanetti, Silvia Angeletti, Robert C. Gallo, Massimo Ciccozzi e Davide Zella. Nello studio risultano dunque coinvolti l’Institute of Human Virology dell’Università del Maryland (USA), l’Università Campus biomedico di Roma (Italia) e il Flavivirus Laboratory dell’Oswaldo Cruz Institute di Rio de Janeiro (Brasile).

Dopo lo spillover pipistrello-uomo e le mutazioni della Rna polimerasi e della proteina Spyke, siamo dunque di fronte ad un quarto cambiamento del genoma virale. Ancor più decisivo di quelli scoperti in precedenza. Infatti una semplice mutazione in un punto del genoma del coronavirus modifica una proteina ma può, teoricamente, fare marcia indietro. Al contrario una delezione, cioè l’eliminazione di diverse basi del genoma che portano alla rimozione di uno o piu’ 'mattoncini' con cui si costruiscono le proteine, impedisce di ripristinare la sequenza originaria. È a senso unico. La delezione censita, osserva Davide Zella, che ha coordinato il gruppo statunitense, «potrebbe influenzare la struttura della regione terminale della proteina, importante per la regolazione della replicazione virale e per l’effetto negativo sull’espressione genica dell’ospite. Inoltre, la sostituzione dei due aminoacidi (KS) da Nsp1 di SARS-CoV (molto simile alla proteina di SARS-CoV-2) ha ristabilito buona parte dell’espressione dell’interferone alfa in precedenti esperimenti in laboratorio». Poiché dall’interferone alfa dipende la risposta immunitaria innata del nostro organismo, la delezione potrebbe ripristinare la risposta del sistema immunitario innato. Del resto, lo stesso fenomeno è stato segnalato, prima del Covid 19, nella SARS e nelle normali influenze endemiche nella specie umana.

«La delezione che descriviamo indica che SARS-CoV-2 sta subendo profondi cambiamenti genomici – commenta Massimo Ciccozzi, che ha coordinato il gruppo italiano – e a questo punto diventa importante confermare la diffusione di questo particolare ceppo virale, e potenzialmente di ceppi con altre delezioni nella proteina Nsp1, nella popolazione di soggetti asintomatici e paucisintomatici, e correlare questi cambiamenti in Nsp1 con la possibile diminuzione della patogenicità virale, attraverso studi epidemiologi ed esperimenti di laboratorio».

«L’evento che sta modificando la composizione genomica del virus, riproducendo ceppi con gli aminoacidi mancanti, è stato riscontrato in sequenze virali analizzate in diverse aree del mondo e riguarda 9 nucleotidi, corrispondenti a 3 aminoacidi», dice Francesca Benedetti, che lavora all’Institute of Human Virology. Ancora non è chiaro se la delezione sia avvenuta in modo indipendente in momenti e Paesi diversi, con cambiamenti del genoma, uguali e convergenti negli effetti patogenici, come se il virus fosse intrinsecamente fragile; oppure se la delezione si sia diffusa partendo da un unico focolaio. In entrambi i casi i ricercatori non sembrano avere dubbi sull’importanza del fenomeno: «la delezione di aminoacidi KSF può alterare l’attività di Nsp1 uno dei più importanti determinanti della patogenicità della SARS-CoV-2». I dati, si legge nel rapporto finale, «identificano chiaramente un nuovo ceppo virale SARS-CoV-2 presente in soggetti provenienti da diverse aree (Europa, Nord e Sud America). Sono necessari più dati per stabilire se l’assenza in certe zone sia dovuta ad un ridotto numero di genomi virali disponibili per l’analisi. La sua caratteristica distintiva è una delezione nella regione C-terminale del gene Nsp1, che si traduce in una proteina priva di tre aminoacidi (KSF). La sostituzione di due di questi aminoacidi nella regione C-terminale di Nsp1 ha ridotto l’effetto inibitorio della risposta immunitaria innata alla proteina di SARS-CoV». Poiché «questi aminoacidi compromettono il corretto ripiegamento di Nsp1, ipotizziamo – sottolineano Ciccozzi e Zella – che i virus che portano questa delezione siano probabilmente meno patogeni dei ceppi virali comunemente osservati. A questo proposito, notiamo che i due coronavirus umani endemici comuni, HCoV-OC43 e HCoV- 299E (i patogeni del raffredore, ndr), hanno delezioni estese nella regione Cterminale di Nsp1; le nostre osservazioni, insieme alle recenti scoperte (da parte di altri due gruppi) di un ceppo virale che porta un’estesa delezione nel gene Orf7a, e di un ceppo virale che porta una delezione in Nsp2, indicano che SaRS-CoV-2 potrebbe essere in fase di significativo processo evolutivo, sperabilmente verso l’adattamento».

Una scoperta dalle indubbie ricadute epidemiologiche: «Poiché la stragrande maggioranza delle sequenze genomiche raccolte finora sono di soggetti sintomatici – sottolineano Ciccozzi e Zella – sembra logico caratterizzare in dettaglio genomi SARS-CoV-2 della popolazione asintomatica. Se la nostra ipotesi è corretta, questa delezione potrebbe circolare prevalentemente in questa popolazione e allora dovremmo essere pronti a identificarvi in dettaglio ulteriori passi evolutivi virali, che possano indicare una riduzione della patogenicità. Occorre comunque sottolineare che una tale riduzione nel breve periodo è altamente improbabile, perché eventi molecolari di questo tipo necessitano un certo periodo di tempo per diffondersi nella popolazione e sortire il loro effetto». In altre parole, se confermata da studi epiodemiologici e di laboratorio, questa delezione potrebbe indicare l’inizio di un processo che sta portando alla nascita e diffusione di ceppi virali con ridotta patogenicità, anche se è ancora opportuno tenere alta la guardia.

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