sabato 21 marzo 2015
​Una circolare per vigilare dopo i fatti di Tunisi. Gentiloni a Torino: fermezza, non allarmismi.
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Il primo timore degli apparati di intelligence, dopo l’attentato a Tunisi, è quello di possibili gesti di emulazione, compiuti da 'lupi solitari' o da micro cellule jihadiste. Lo mette nero su bianco una circolare del direttore del Dipartimento di pubblica sicurezza, il prefetto Alessandro Pansa. Il provvedimento – inviato l’altro ieri, come anticipato da Avvenire, a prefetti e questori – fa riferimento alla «irruzione di persone con armi da fuoco al museo del Bardo di Tunisi, con vittime e feriti». Alla luce dell’attacco, «non potendosi escludere che la circostanza possa determinare azioni improntate all’illegalità anche a carattere emulativo», la circolare «prega» le autorità territoriali «di voler ulteriormente sensibilizzare le misure di vigilanza e sicurezza» a protezione di obiettivi diplomatico-consolari, con particolare riguardo a quelli «tunisini e ad ogni altro obiettivo ritenuto esposto al rischio nella circostanza». Con 4.800 militari già dislocati nel piano «Strade sicure» e una situazione che già il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha definito più volte di «attenzione massima», il nuovo invito del Viminale a un ulteriore innalzamento della sorveglianza sulle migliaia di 'obiettivi sensibili (istituzioni, ambasciate, luoghi di culto, porti, aeroporti, monumenti) dà l’idea della preoccupazione negli apparati di sicurezza e nello stesso governo. E la vigilanza è alta anche nel Mediterraneo, dove giovedì è stato annunciato il dispositivo «Mare sicuro»: per il capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, non è possibile escludere «che si organizzi un finto naufragio, o uno vero, dove a bordo del barcone ci sono esaltati con cinture esplosive». In visita in una Torino ancora scossa dall’eccidio di Tunisi, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni invita tuttavia a reagire alla minaccia terroristica «con fermezza, coesione delle nostre comunità, senza allarmismi e con l’unità dello schieramento politico». L’esperienza, osserva il titolare della Farnesina, «ci insegna che i grandi eventi sono occasione di rischi. Per l’Expo di Milano e gli eventi di Torino ci sarà la massima attenzione di tutti gli apparati di sicurezza». Sulla stessa linea il direttore del Dipartimento per le informazioni e la sicurezza, Giampiero Massolo, che invita a una riflessione sulla sanguinaria propaganda dell’Is e sul rischio che giornali e tv occidentali la possano amplificare: «Bisogna informare ma non allarmare l’opinione pubblica, evitando di fare da grancassa alla comunicazione dei terroristi che vogliono proiettare un’immagine di potenza e seminare terrore». Si tratta, per Massolo, di «una minaccia nuova, una galassia nebulosa. L’Is ha un potere d’attrazione che lo rende pericoloso, metabolizza altri movimenti che trova sul territorio, che indossano quella casacca. Il califfato è ormai un brand di moda».  In Parlamento intanto prosegue l’esame per la conversione in legge del decreto antiterrorismo, in vigore dal 18 febbraio e la cui efficacia varrà per un altro mese. Da gennaio nelle indagini su presunti gruppi jihadisti sono state controllate 4.432 persone, con 141 perquisizioni domiciliari, 17 arresti e 33 espulsioni dal territorio nazionale, decise «per attività che vanno ad incidere sulla criminalità comune, che può essere serbatoio» per l’estremismo. Fra gli espulsi, anche alcuni immigrati di nazionalità tunisina che avevano finito di scontare pene nelle carceri italiane: dal 44enne Dridi Sabri, condannato per terrorismo internazionale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al 42enne Imed Ben Mekki Zarquaoui, ritenuto suo complice e rimandato anche lui in Tunisia.  Gli 007 e l’Antiterrorismo della Polizia sono in contatto con gli inquirenti tunisini, anche per verificare se alcuni fra i soggetti collegati alla rete di attentatori possano essere passati dall’Italia: in particolare, verrebbe monitorato un tunisino già condannato in Italia per terrorismo. E proprio la «presenza nelle carceri» e «la radicalizzazione attraverso il web» sono, secondo il direttore del Dis Massolo, le due «principali fonti di reclutamento» e proselitismo di aspiranti jihadisti.
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