martedì 7 gennaio 2020
Il vescovo di Oppido-Palmi, Francesco Milito: «Sono ancora molte le presenze apparentemente invisibili sparse su tutto il territorio. I nostri appelli? Non ancora recepiti
«Basta con l'emergenza. Ora servono abitazioni dignitose»

Siciliani

COMMENTA E CONDIVIDI

«Basta parlare di emergenza immigrati! È un termine abusato. Quando un’emergenza è permanente, è piuttosto un sistema, una realtà stabile e assolutamente da superare». È netta la denuncia di monsignor Francesco Milito, da sette anni vescovo di Oppido-Palmi. Che torna a ripetere due parole «basta e urgenza, senza perdere ulteriore tempo». Perché, sottolinea, «se sotto il profilo logistico alcune cose, come la nuova tendopoli, sono state realizzate e sono il segno visibile di un’attenzione più vigile per un’ospitalità più accettabile, molto c’è ancora da fare».

A dieci anni dalla rivolta degli immigrati quale è la situazione? La forte riduzione numerica ha portato qualche respiro in più, ma la soluzione del problema resta ancora lontana. Molte, infatti, sono le presenze apparentemente invisibili sparse su tutto il territorio.

La Chiesa non ha mai fatto mancare il suo aiuto. Ma non è un comodo alibi per le istituzioni? La nostra Chiesa ha sempre promosso aiuti concreti, soprattutto con la Caritas, e anche con le singole parrocchie, ma anche tenendo alta la coscienza del Vangelo. A gennaio dell’anno scorso, dopo l’ennesimo incendio nella baraccopoli, dissi che «tre morti in pochi mesi sono troppi, è un eccidio, un’ecatombe ». E ad aprile, dopo lo smantellamento delle baracche, scrissi che «quel che resta da fare è molto di più e risolutivo».

Dunque più volte la diocesi, ma anche i vescovi calabresi, hanno denunciato ritardi, assenze, sfruttamenti. Una voce poco ascoltata? Gli appelli non sono finiti nel vuoto, ma non si può dire che siano stati accolti e recepiti pienamente.

Quest’anno quali sono le iniziative della diocesi? Resta confermato tutto l’impianto del nostro impegno, a cui si è affiancato l’anno scorso il centro di ascolto della Caritas e da pochi mesi una mensa aperta presso le suore della Carità di San Ferdinando. La Chiesa fa quel che può, ma è questione di politiche.

Ma può bastare l’aiuto materiale? Non è necessario che finalmente siano riconosciuti giustizia e diritti? Certamente non basta. È per questo che abbiamo affrontato il problema degli immigrati nelle assemblee dei consigli pastorali diocesani e in quelle delle consulte laicali. Frutto di tali analisi è stato un documento che il 20 dicembre abbiamo consegnato al prefetto di Reggio Calabria e al sindaco di San Ferdinando. Dal testo si ricava in modo inequivocabile, l’invito ad attivare quanto la legislazione vigente pone in essere a favore degli immigrati. Sono chiari, infatti, i ritardi e le inadempienze che ancora sussistono. Se assorbite rappresenterebbero un reale e concreto aiuto per cercare di sopperire alle difficoltà che il fenomeno produce. E per fugare l’impressione che lo smantellamento della baraccopoli sia stata più un’azione dimostrativa, seppure necessaria, che non una soluzione pienamente risolutiva.

Cosa in particolare chiedete? Abbiamo denunciato «i primi nefasti effetti del Decreto Sicurezza con l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari». E abbiamo chiesto di consentire l’iscrizione anagrafica degli immigrati che vivono in insediamenti informali presso l’indirizzo convenzionale per i senza dimora. Poi favorire l’accesso ad un’abitazione dignitosa, con l’occupazione degli immobili già realizzati a Rosarno con fondi pubblici per gli immigrati, e la riqualificazione e il riutilizzo di immobili sfitti nella Piana di Gioia Tauro e degli immobili confiscati, per realizzare un’accoglienza diffusa e un processo di integrazione. Non si può più rimandare la realizzazione definitiva dei progetti e l’effettivo godimento da parte dei migranti per i quali sono stati stanziati fondi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: